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UN (NON) ELOGIO A FACEBOOK

Sgombriamo subito il campo dai possibili fraintendimenti: quello che segue non è un elogio a Facebook, o quanto meno non vuole esserlo. Se i difetti dei social network di cui si scriverà non sono completamente applicabili a questa specifica piattaforma è pur vero che, fosse anche soltanto per anzianità, se i difetti in questione non ce li ha, in qualche modo li ha comunque covati dentro di sé, li ha nutriti e testati in circa un decennio di sperimentazione e lenta modifica del tessuto sociale in cui andava espandendosi.

In secondo luogo, oggi Facebook è il nome di una piattaforma, non più di un’azienda. Quest’ultima si chiama Meta, e comprende al suo interno anche Instagram, il quale i difetti di cui sopra (e di cui sotto) li contiene praticamente tutti.

Tutto questo serve da una parte a mettere goffamente le mani avanti; dall’altra a definire bene le cose dal principio in modo da evitare il rischio che un’analisi e una riflessione piuttosto settoriali vengano generalizzate e lette come una specie di apologia.

La storia evolutiva di Facebook

Facebook è nato nel 2004, ma abbiamo dovuto aspettare qualche anno prima di vedere un’esplosione in termini di numero di utenti e utilizzo.

Come tutti gli altri social network, anche Facebook è sempre stato in continua evoluzione, ma a differenza delle altre piattaforme le funzionalità che sono state aggiunte a Facebook hanno spesso avuto una dimensione orizzontale. La possibilità di messaggiare privatamente è sempre stata una prerogativa del social blu, ampliata nel 2008 grazie all’applicazione Facebook Messenger. I gruppi, con la conseguenziale possibilità di creare community tematiche, risalgono al 2010. Il Marketplace, introdotto nel 2016, si è andato consolidando nel corso del tempo, e ad oggi risulta uno degli strumenti più utilizzati da chi vuole vendere online della merce usata. Tutto questo senza considerare i tentativi (ad oggi) abortiti: dalle criptovalute alle app d’incontro.

A tutto ciò si aggiunga un sistema sempre più sofisticato di comunicazione pubblica, fatto di reazioni al posto del solo “Mi Piace”, di risposte ai commenti e post per gli Eventi dal vivo.

Insomma, fatta eccezione per l’incredibile popolarità di WeChat in Cina, negli anni Facebook è diventata la cosa più simile che esista a quell’“app totale” tanto bramata da Elon Musk. Questo fino a un paio di anni fa.

Il crollo di Facebook

Il 2 febbraio del 2022 non deve essere stata una bella giornata per Mark Zuckerberg, che per la prima volta in 18 anni ha visto diminuire gli utenti giornalieri sulla sua piattaforma, con un notevole impatto negativo sui titoli azionari.

Ovviamente, Facebook non perde utenti perché la gente ha deciso di vivere di più fuori dagli schermi, anzi, la pandemia ha accelerato un trend opposto. La verità è che Facebook soffre ormai da qualche anno la concorrenza: principalmente quella del colosso cinese TikTok, ma anche quella interna di Instagram o quella di altre piattaforme come YouTube o Twitch.

Non è certamente una rivelazione che le persone che stanno abbandonando Facebook, preferendogli i competitor, siano soprattutto i giovani.

Stando alle statistiche c’è una corrispondenza quasi diretta fra fascia d’età e social preferito. Gli adolescenti preferiscono di gran lunga TikTok, e più l’età si abbassa più il dato viene confermato. Oggi per un tredicenne probabilmente già Instagram è poco attrattivo perchèappartiene a una generazione diversa, lo usano i fratelli maggiori. Facebook, invece, è proprio da vecchi, una cosa da genitori, o, addirittura, da boomer.

Banalmente, la contrazione degli utenti di Facebook non è altro che la conseguenza diretta della sua precedente e rapida espansione. In più di un quindicennio di popolarità, Facebook è arrivato a raggiungere tutti, ma proprio tutti, anche tua nonna, che in questo modo può farti gli auguri pubblicamente, sul suo profilo, senza taggarti.

A ciò si aggiunge il fatto che in diciotto anni il mondo è cambiato, perché le persone sono cambiate: alcune sono invecchiate, altre sono cresciute, altre ancora sono nate. Una ventottenne iscrittasi a Facebook nel 2009 e rimasta incinta lo stesso anno oggi ha un figlio che va alle superiori. Non c’è da sorprendersi se un ragazzo non vuole frequentare gli stessi luoghi (siano anche luoghi digitali) che frequenta sua madre.

L’effetto è un circolo vizioso per il quale gli adulti mettono in fuga i giovani, i quali in questo modo lasciano lo spazio ad adulti ancora più adulti, che se ne impossessano e lo riempiono di “Buongiornissimi Kaffe!1” e simili.

Ma cosa c’è che non va in Facebook?

Niente, è questo il punto. Come ho cercato di argomentare in precedenza, Facebook in sé rappresenta l’esperienza social più completa. Viene lasciato ampio spazio al testo, senza sacrificare quello per i contenuti multimediali, e le forme di comunicazione non si limitano all’unidirezionale creator-audience che invece domina gli altri social network. Nella sua struttura di base, Facebook rappresentava davvero il tentativo di creazione di uno spazio se non proprio democratico (c’è un proprietario, un consiglio d’amministrazione e un fatturato privato) quanto meno collettivo. Rappresentava, al passato, perché le cose sono cambiate anche lì.

Se usate ancora Facebook probabilmente ve ne siete accorte e accorti da soli. Con che frequenza vi imbattete in post dei vostri amici? Che fine hanno fatto i post di quel gruppo di cucina cinese nel quale eravate entrati, perché compaiono soltanto i post dei soliti due/tre gruppi? Ma soprattutto? Cosa sono tutti questi contenuti sponsorizzati? Cosa sono i “consigliati per te?”

Tutto questo è l’effetto di un programma preciso, che sta coinvolgendo tutte le piattaforme Meta, in un tentativo di affannoso inseguimento della logica dei “per te” di TikTok.

Non è una novità. Instagram ancor prima che Facebook, ha sempre avuto le antenne dritte, pronta a captare le tendenze e a replicarle. Lo ha fatto con le stories prese da Snapchat e con i reels ispirati a TikTok. Facebook lo ha seguito a ruota, e adesso anche tuo padre può scorrere all’infinito un flusso di contenuti allo stesso tempo anonimi e altamente personalizzati. Anonimi perché tuo padre non conosce nessuna delle persone che vede in video, personalizzati perché a furia di calcolare i secondi di permanenza su ogni singolo video l’algoritmo – antagonista perfetto di questi anni ’20 – lo conosce meglio di quanto lui conosca sé stesso.

I social diventeranno tutti uguali?

Ma a furia di pescare nel lago degli altri va a finire che prendi anche tu gli stessi pesci. E così uno strumento nato per replicare sul digitale una dinamica sociale già esistente nella realtà, si sta lentamente trasformando in quello che già sono tutti i social network: un’alternativa alla realtà.

L’idea che stava dietro al concetto di social network era quella di ampliare le connessioni sociali fra le persone: recuperare vecchi amici o tenersi frequentemente in contatto con quelli attuali. Anche quando la cosa ha iniziato a sfuggire di mano, si manteneva comunque all’interno di una logica di specularità con la vita offline. I tuoi amici su Facebook erano persone che conoscevi dal vivo, magari anche soltanto superficialmente; oppure erano persone che proprio attraverso i social network imparavi a conoscere, con le quali stringevi un rapporto.

Per questa ragione su Facebook c’erano, e ci sono ancora adesso, le pagine, delle quali all’epoca “diventavi fan”. Era una realtà nettamente separata dalle persone, le quali conservano una componente di umanità da contrapporre all’oggettività inanimata dei prodotti, o dei personaggi famosi, che potevi limitarti a seguire passivamente.

Il gioco è cambiato. Il confine fra oggetto fruito e soggetto fruitore si è dissolto, facendo sì che i soggetti da semplici utenti quali sono aspirino allo status di oggetto di culto, influencer da idolatrare, convinti che soltanto in quel modo potranno ottenere una vera voce rilevante, e quindi convertirsi davvero in soggetti veri e propri. Un paradosso allucinante. Una tendenza che anche Facebook ha deciso di assecondare. Scrive Irene Doda, in La piazza digitale, articolo apparso sulla rivista online Siamomine:

“Facebook e Instagram hanno in mente di proporre più contenuti consigliati dai sistemi automatizzati di raccomandazione, o sponsorizzati, invece che favorire le interazioni con materiale pubblicato da amici o conoscenti, come era all’inizio dell’era del web 2.0 (gli utenti, comunque, non sono stati troppo contenti di questa scelta aziendale). Insomma, si sta inseguendo una configurazione di relazioni sempre meno reciproca (se di vera reciprocità si può parlare, in un ambiente comunque dominato da colossi privati) e sempre più pilotata dall’alto, in cui ha meno peso lo scambio di informazioni tra pari e acquisiscono invece importanza gli influencer e i creator professionisti in grado di generare engagement.”

Questo web 2.0, queste relazioni reciproche, questo scambio di informazioni fra pari, in Facebook c’erano. Facebook conservava la natura del forum e quella del blog, era uno spazio di comunicazione orizzontale.

Non lo sarà più?

Non credo. La verticalità imposta, con i contenuti sponsorizzati e consigliati, finirà per aggiungersi e non sostituirsi a un impianto strutturato proprio per l’orizzontalità. Banalmente il marketplace continuerà a esistere, solo che i venditori saranno sempre meno conoscenti. Ci saranno ancora i gruppi, ma forse sarà una pubblicità a indirizzartici, forse sarà la stessa pubblicità a creare il tuo desiderio prima, e la tua passione poi, per l’argomento di quello stesso gruppo. Niente di troppo diverso dalla vecchia pubblicità, niente di troppo diverso dai media di sempre.

Facebook si trasformerà in una specie di piattaforma federale, nella quale settori diversi rispondono a un’unica organizzazione centrale, ma conservano ciascuna la propria natura e la propria funzionalità. Un ventenne commenterà in un gruppo da 10.000 persone sul rap italiano, ma non scorrerà i reels di Facebook, gli preferirà quelli di Instagram; mentre proprio lì, a qualche byte di distanza, sua madre starà ridendo a un “video comico” sulla routine nel matrimonio. Non so neanche perché uso il futuro, visto che tutto questo è già realtà. Il futuro vero, nei piani di Meta, è letteralmente il Metaverso, uno spazio in cui l’alternativa alla realtà perderà perfino il suo portato allegorico.

Certo è che il tentativo di attrarre i giovani con i mezzi delle piattaforme preferite dai giovani mette quasi tenerezza. Tutto l’impianto reggerà giusto finché ci sarà qualcuno a continuare a usare Facebook come già lo usa. Poi qualcuno morirà, qualcun’altro invecchierà. Lo stesso succederà con Instagram, con TikTok e con qualunque altra creazione umana. Per quanto mi riguarda aspetto il momento in cui i nostri nipoti guarderanno uno stitch, o un green screen fatto male ed esclameranno: “Ok, zoomer”.

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