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SOUS L’EAU

“Ti ricordi come ci siamo conosciuti?”

“Certo che me lo ricordo”

I due delfini piroettarono fra i campanili di Notre Dame, in un gioco di spume e spirali azzurrine. Conchiglie di ogni forma e colore arricchivano di bassorilievi le campane di bronzo della vecchia cattedrale, mentre solo le sogliole pisolavano sul fondale della piazza. Un gambero saettò in una direzione ma con la testa rivolta al lato opposto, come tormentato allo stesso tempo da una gran fretta e dal timore di una dimenticanza. Intanto, i delfini riavvolgevano il nastro della loro storia.  

“Raccontamelo di nuovo…”

“Stavo scappando da quella rete a strascico. A un certo punto, una grossa energia mi ha spinto verso l’alto, e ho fatto un salto prodigioso! Quando sono riatterrato in acqua, l’orrendo peschereccio era ancora lì al mio fianco; ma capovolto, e con la rete che ora gli stava sopra come una nuvola scura di pioggia. Vi ho visto scappare a migliaia, e fra queste migliaia di tonni, orate, spigole, tartarughe e rifiuti di plastica, c’era anche la delfina più bella del mondo…”.

I due delfini si scambiarono un tenero bacio, si buttarono in uno dei due campanili e poi giù per gli scalini interni. Una volta fuori, andarono a sgranchirsi un po’ la coda per Quai de la Tournelle. Le pale del Moulin Rouge, in lontananza, erano tutte coperte di alghe, e dentro si annunciava uno spettacolo per soli mammiferi, ma i due delfini avevano altri programmi. “Parigi coperta dall’acqua, tutta per noi: cosa potremmo desiderare di più?”.

Molto più lontano, all’altezza di Ivry-sur-Seine, un vecchio polpo aveva deciso di farla finita. In una stanza all’ultimo piano dell’albergo più squallido del quartiere, aprì la finestra. Tirò fuori i tentacoli, e per l’ultima volta sentì il rumore del traffico, della confusione, dell’indifferenza. Quindi uscì, facendo attenzione che le ventose fossero ben salde sui vetri. Qualche passante indicò la strana sagoma appesa al muro del vecchio hotel,  le massaie ai balconi delle case popolari cominciarono a strepitare, e pian piano i giardini condominiali e i terrazzi si riempirono di curiosi: scorfani appena tornati dal lavoro, piccole acciughine distratte ancora una volta dai compiti per l’indomani, ricci di mare sorpresi nel mezzo di una laboriosa ceretta.

Arrivò la polizia, e subito avvisi al megafono giunsero ai tentacoli del polpo, le cui ventose, prima impaurite, ora fremevano di eccitazione all’idea di lasciare la presa. Il polpo avvertì che qualcuno si stava avvicinando correndo a perdifiato sulle rampe dell’albergo; attese che il personale arrivasse al piano, che capisse qual era la sua stanza, che girassero la chiave nella serratura della porta, che afferrassero la maniglia, che spalancassero l’anta…E finalmente, trovò il coraggio di lasciarsi andare.                                                                                                                                                   

Purtroppo, o per fortuna, il polpo cominciò semplicemente ad affondare, con grazia. Da quando il livello delle acque si era innalzato, suicidarsi non era mica affare così semplice. Per il nervosismo cominciò a emettere una nuvola di inchiostro nerissima e densa, con il quale almeno sperava di rovinare l’ora del varietà a qualche allegra famigliola di carpe, delusa da questo suo ennesimo fallimento. Non sapendo cosa fare, si girò verso la Tour Eiffel. La cima della Torre sfuggiva alle acque, a cui concedeva soltanto un’immagine sfuggente dai contorni rifratti. Dal nulla, lo colse un’illuminazione, e si lasciò quindi trasportare dalla corrente verso Trocadero. L’avrebbe fatta finita, una volta per tutte.

A Place De La Concorde , due lucci enormi e argentati passeggiavano, con l’intenzione poi di risalire lungo il Jardine des Tuilieres. Erano a caccia di qualche bella sogliola, o anche una spigola, ma sarebbe andata bene anche una capasanta, o una cozza qualsiasi. Di certo, c’era che non si sentivano particolarmente schizzinosi.

Era stata una fortuna per loro che l’acqua avesse improvvisamente allagato tutta la città. Non erano più obbligati a guazzare nella Senna a e guardare la Ville solo dal basso, dove mai capitava di imbattersi nelle sinuose forme di una murena; al limite, qualche pesce gatta baffuta dai facili costumi. Quando il mare aveva invaso Parigi, dalla felicità in quattro e quattr’otto avevano contribuito a renderla vivibile anche per le sue nuove abitanti. Inizialmente, le pescioline, le crostacine e le mammiferine acquatiche appena arrivate dalle coste dell’Oceano Atlantico e dalle fredde acque della Manica si erano dimostrate molto grate verso i grossi e pratici lucci parigini, ipnotizzate com’erano dal loro sguardo ammaliante, dalla loro loquacità prodigiosa; i due compari non potevano dire di non averne approfittato. Ma una volta passato il fascino della novità, le nuove arrivate cominciarono a essere conquistate dalle forme e dai meravigliosi colori dei pesci tropicali che avevano cominciato a fluire a Parigi da altri lidi ben più esotici, approfittando dell’inondazione di ogni terra emersa. I poveri lucci non poterono nulla contro le grandi code eleganti e variopinte dei pesci combattenti, l’autorità squadrata e massiccia degli idoli moreschi, o le trovate stravaganti dei pesci Picasso; una volta compari nella fortuna, versavano in un momento di disgrazia.

Presero due pomodori di mare al baracchino di fianco al Louvre. Mentre mangiavano, una nuvola di fumo nero si alzò dalla periferia sud della città.

“Ci deve essere stato un incidente” disse una piccola stella marina alla sua amica ostrica, poco lontano.

“Oh come vorrei andare a vedere…” rispose lei. “Fammi controllare sulla mappa…”

“Mi dispiace deludervi” disse il luccio più spigliato, “ma quello non è un incidente”

“Scusi?” risposero loro due.

“Fidatevi” intervenne l’altro, non eccellente nel primo approccio, ma ottima spalla “Saprebbe riconoscere il suicidio di un polpo da duecento chilometri di distanza. E di solito sa indovinare anche l’indirizzo esatto in cui si trova”

“Ma succede spesso da queste parti?” chiese curiosa l’ostrica, che cominciava pian piano ad aprirsi ai due nuovi interlocutori.

“Continuamente signorina, i vecchi polpi si rincoglioniscono al punto da dimenticarsi che non è più possibile buttarsi dai palazzi, e quindi ci provano e ci riprovano e ci riprovano ogni volta, senza successo. Pomodoro di mare?”

“Io avevo sentito che i polpi erano invece animali molto intelligenti…deve essere un polpo molto tormentato per fare un gesto così efferato, senza considerare queste assurde amnesie…” disse l’ostrica con tono profondo, quasi clinico, sgranocchiando poi un po’ di pomodoro. Il luccio spigliato rise con lei quando uno schizzo di succo le macchiò il guscio, facendola arrossire.

“Bisognerebbe andare a verificarlo di persona” disse il luccio spalla con nonchalance, quasi pensieroso.

“Oh, voi quindi potreste portarci là?” abboccarono subito le due prede, rinunciando a un poco d’innocenza ed esagerando con l’ingenuità.

“Certamente, è di sicuro dalle parti di Saint Denis”, e così i due lucci indicarono galantemente la strada alle due giovani invertebrate, che volentieri si fecero accompagnare nella direzione esattamente opposta a quella della grossa nuvola nera. Nessuno protestò per questo cambio di direzione. Né quell’allegra compagnia fece caso alla sagoma nera del polpo, che arrivata fino alla cima della Torre Eiffel, era misteriosamente scomparsa.

I due delfini si trovavano a Trocadero, ai piedi della maestosa torre d’acciaio simbolo della città, ormai sempre più rosicchiata dalla ruggine. Decisero di farsi una foto, per non dimenticare quel momento meraviglioso. Ma nel tentativo di mettersi in posa, ingaggiarono una lunga e smielata serie di smancerie, lasciando che la macchina fotografica volteggiasse per qualche secondo nell’acqua. Non si accorsero quindi dell’amo beffardo che, agganciata la macchina fotografica, la portava rapidamente verso la cima della Torre.

“Ce l’ho fatta!” esultò il ragazzo, quando dall’acqua emerse l’estremità del filo con appesa all’amo la macchina. “Te l’avevo detto che era analogica! Che classe questi pesci” disse, parlando ad un batuffolo di cappelli biondo bagnati e scuri che emergevano dal mare. “Bellissimo, ma sono mammiferi” disse lei, arrampicandosi sulla terrazza per andarsi ad asciugare. Quando tornò da lui, il tramonto tingeva di rosso quell’enorme distesa di mare, che insieme alla collina di Montmartre era oramai l’unica cosa che potevano vedere da quando le acque avevano completamente invaso le terre emerse, e a loro era venuta la pazza idea di rifugiarsi sulla cima del loro monumento preferito a Parigi. Terribili terremoti avevano devastato il loro paese d’origine, e in verità qualunque luogo della terra che non fosse Parigi. Il ragazzo scattò una foto di sfuggita alla ragazza, che sorrise più splendente del sole coprendosi con una mano lo sguardo accecato da un flash non necessario, vista l’intensità di quel tramonto insanguinato. Lui si perse nel suo nuovo passatempo. Solitamente, non faceva altro che pescare con quell’enorme lenza che si era procurato rovistando in un peschereccio capovolto emerso una sera all’orizzonte; o cucinare il pesce e i frutti di mare che si avventuravano fino alla loro nuova casa. Dopo aver finito il rullino, per l’entusiasmo il ragazzo si concesse un bagno al tramonto. Quando riemerse dall’acqua, lei lo guardava sorridente con la testa appoggiata ai palmi delle mani.

“Ti piaceranno tantissimo le foto, te ne ho fatta qualcuna mentre nuotavi!” disse lui. Lei intanto rideva, divertitissima da qualcosa che gli sfuggiva.

“Perché ridi?”

“Dove hai intenzione di svilupparle?”

Il ragazzo si rese conto del problema. Si girò verso il sole che tramontava, poi di nuovo verso la balaustra, e poi ancora dirimpetto al sole, in un moto quasi ondoso. Non c’era in effetti nient’altro da guardare. Gli era andata male? Finora, era abbastanza sicuro di no. Le foto solitamente servono a conservare ricordi che altrimenti si perderebbero nel nulla. Ma Parigi era ormai subacquea, e non c’era il pericolo di dimenticarsi come doveva essere il tramonto sul mare, visto che lo vedeva ogni santo giorno. Per un secondo si fece prendere dalla malinconia. Ma poi un gabbiano si posò sull’antenna della Torre. Ogni mattina si svegliava e partiva alla ricerca di qualcosa, ogni sera tornava. Il ragazzo non sapeva se il gabbiano avesse mai trovato quello che cercava. Eppure, l’uccello sembrava estremamente tranquillo, quasi saggio.

“Sei triste? Non avrei dovuto dirtelo”

Il ragazzo si ricordò di non essere da solo. Sorrise, e uscì dall’acqua, non prima di aver schizzato quella simpatica biondina.

“Stasera polpo, quindi?”

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