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MOVIMENTI PREFIGURATIVI E MUTAMENTO SOCIALE. UN APPROCCIO MICRO-FONDATIVO PER E DELL’ANTICAPITALISMO

Premessa

Nella prima parte del nostro lavoro, cercheremo di ricostruire l’impianto teorico del saggio di Lara Monticelli, Embodying Alternatives to Capitalism in the 21st Century (2018). L’obiettivo dell’autrice è identificare una teoria del cambiamento il cui orientamento non sia solo pedagogico, ma anche pragmatico. Monticelli si concentra su alcune teorie marxiste che propongono una prospettiva di cambiamento basata sul concetto di utopia. Nella seconda parte del nostro lavoro evidenzieremo la necessità di integrare la prospettiva dell’autrice con un’attenzione rivolta alle micro-pratiche di protesta e alla loro capacità di produrre cambiamenti a livello macro. Nella terza parte, infine, cercheremo di applicare il modello al movimento delle Madres de Plaza de Mayo.

  1. Un nuovo approccio ai movimenti sociali

Per analizzare i caratteri innovativi di alcuni movimenti sociali contemporanei, partiamo dall’analisi di un saggio di Lara Monticelli. Monticelli (2018) apre il suo lavoro sintetizzando le crisi cicliche che hanno caratterizzato l’evoluzione del sistema capitalistico. L’autrice parte dalla Grande Recessione (1929-1939) e giunge fino al collasso finanziario del 2008, sottolineando due aspetti: la nascita di numerosi movimenti sociali che si contrappongono al capitalismo e il rafforzamento di una specifica convinzione, quella secondo cui il capitalismo s’accinge a implodere.

Secondo Monticelli, però, il sistema capitalistico non è entrato nella sua fase conclusiva ma in una nuova fase di sviluppo da cui emergono nuovi rapporti di sfruttamento. L’autrice propone un recupero delle teorie marxiste, da intendersi sia come prospettiva da cui analizzare le contraddizioni sistemiche, sia come stimolo per il cambiamento (ibid.: 503).

Il primo obiettivo dell’autrice è quello di: «illustrare come nell’ultimo decennio un numero crescente di pensatori critici e marxisti […] abbiano iniziato a includere nella loro analisi movimenti sociali e iniziative di base “interstiziali”» (ibid.: 504). Queste ultime sono capaci di creare una frattura nella realtà capitalistica, da cui emergono nuovi modi di intendere i rapporti di produzione e la vita sociale. Si tratta di attività che prefigurano una società post-capitalistica senza il ricorso ad azioni violente o esplicitamente rivoluzionarie (ibid.). Il secondo obiettivo è quello di porre le basi per un nuovo approccio che studi questi movimenti dialogando con le teorie del mutamento sociale.

L’autrice cerca di adattare la distinzione marxiana borghesia-proletariato alla configurazione del capitalismo contemporaneo ridefinendo i «due campi ostili», l’1% più ricco e il restante 99% della popolazione mondiale (ibid.: 503). Questa nuova forma dicotomica della stratificazione sociale rende difficile identificare prassi di trasformazione della realtà capitalistica. Proprio per questo, dar vita a una società socialista implica la necessità di trasformare il capitalismo.

Per l’autrice è quindi necessario ripensare la struttura dell’economia e della società, senza che il capitalismo possa trovare spazio per riprodursi. Monticelli riprende l’idea di utopia, la quale è recentemente riemersa sia nel dibattito pubblico sia accademico. La sociologa evidenzia quattro tipi di utopia: l’utopia reale proposta da Erik Olin Wright, l’utopia interstiziale definita da John Holloway, l’utopia concreta elaborata da Ana Cecilia Dinerstein e quella attuale imputabile a Luke Martell.

Wright (2011) elabora il concetto di utopie reali, ovvero alternative al capitalismo che si sviluppano in relazione alle contraddizioni del sistema. Queste utopie sono reali in quanto strumenti pedagogici e pragmatici caratterizzati da un alto grado di realizzabilità e fattibilità (ibid.: 506). Wright individua tre logiche che permettono la loro realizzazione: logiche di rottura, simbiotiche e interstiziali (Wright, 2011: 20-22). Monticelli focalizza l’attenzione sulle ultime, intese come graduale trasformazione attraverso cambiamenti relativamente piccoli, capaci di generare nel tempo una trasformazione qualitativa nelle dinamiche del sistema socioeconomico.

Anche nella teoria dell’emancipazione di Holloway le attività interstiziali assumono un ruolo centrale (Monticelli, 2018: 506). Si tratta di attività umane (human doing) che operano fuori dalle logiche del sistema attraverso fratture che consentono di realizzare alternative all’attuale forma di organizzazione economica e sociale. A differenza di Wright, Holloway nega la rilevanza dello Stato nel processo di cambiamento ed enfatizza la necessità di agire qui e ora, senza posporre il processo di cambiamento. Il riconoscimento sociale delle utopie interstiziali comporta la necessità di immaginare «futuri alternativi e di realizzarli e replicarli nel presente» (ibid.: 517).

L’utopia concreta di Dinerstein combina l’idea di rivoluzione interstiziale di Holloway e la teoria di Bloch del “non ancora“ (“not yet”) (ibid.: 506), ovvero la capacità di anticipare nel presente il cambiamento. L’ utopia concreta rimanda all’idea di Holloway dello «human doing» (ibid.: 517) e viene vista come insieme di esperienze in grado di contrastare le logiche economiche dominanti. Le utopie concrete emergono all’interno del capitalismo e operano per il suo superamento, ma solo a patto che esse vengano incorporate «in una valutazione critica di tipo marxista dell’economia politica» (ibid.: 507) in grado di combinare gli scritti economici di Marx e la teoria della speranza di Bloch. 

In ultimo, Martell sottolinea come le utopie attuali colleghino i cambiamenti futuri a esperimenti sociali che si verificano nel presente. Rispondendo ai critici del pensiero utopico che le considerano come la premessa di soluzioni autoritarie, Martell sostiene che le utopie attuali – evidenti, ad esempio, nelle comunità intenzionali o nelle libere università – possano rappresentare uno strumento di cambiamento fondato su azioni concrete piuttosto che su rappresentazioni ideologiche del futuro (ibid.: 508).

Monticelli evidenzia come la teoria di Wright si caratterizzi per un elevato grado di realizzabilità e quella di Dinerstein per la capacità di trasformare la speranza da emozione a problema politico. La teoria di Martell si colloca, invece, a metà strada, evidenziando una natura materialistica (fattibilità) e un elevato potenziale emancipatorio (ibid.). Le utopie reali, interstiziali, concrete e attuali sono accomunate da differenze teoriche fuzzy (quindi non nette ma smussate), dal momento che tutte si «fondano su forme alternative di riproduzione sociale attraverso pratiche trasformative quotidiane» (ibid.)

L’autrice propone alcuni esempi empirici: le pratiche comunitarie di solidarietà, le cooperative, i nuovi movimenti sociali, le pratiche di cittadinanza attiva. La loro importanza risiede nell’essere prefigurativi, ovvero nel mettere in atto soluzioni “qui e ora” e nel prospettare il not yet per impattare sui meccanismi decisionali e sull’agire collettivo. Per chiarire il ruolo della cultura prefigurativa, Monticelli riprende da Margaret Mead la metafora del bambino inteso come soggetto che agisce nel presente ma è proiettato nel futuro. La cultura prefigurativa, dunque, si distingue dalla cultura post-figurativa, influenzata dal passato, e da quella con-figurativa, di natura transitoria e orientata al presente.

L’autrice si chiede inoltre quale sia il nuovo soggetto storico rivoluzionario e se si possa ancora considerare il processo di trasformazione del sistema capitalistico come una questione politica. I movimenti prefigurativi devono ri-politicizzare ciò che non è politicizzato: la vita di tutti i giorni. È proprio questa riconcettualizzazione che permette di superare il capitalismo, determinando l’eventuale successo dei movimenti prefigurativi (prima metti prefigurativi ora pre-figurativi, armonizzare). Per Monticelli è necessario un cambiamento progressivo della realtà capitalistica «che si ottiene attraverso una “configurazione plurale di pratiche” e processi interattivi di sperimentazione, riorganizzazione e re-immaginazione» (ibid.: 509). Inoltre, l’autrice propone di costituire una sociologia ‘per’ e ‘dei’ movimenti sociali prefigurativi, proponendo un approccio interdisciplinare il cui intento è sia pedagogico, sia pragmatico.

La questione chiave rimane come le strategie a livello micro possono essere connesse e coordinate per avere effetti macro. Questo aspetto rappresenta la sfida maggiore per il futuro delle teorie radicali. È su questo aspetto, che Monticelli anticipa senza chiarirlo, che si aprono spazi per ulteriori analisi.

2.   Dall’agency al cambiamento

Il saggio di Monticelli propone un approccio critico al capitalismo che tenta di spiegare la questione del cambiamento indotto dai movimenti critici. La sua interessante prospettiva va integrata con un’attenzione rivolta alla capacità di agency degli attori, dunque all’elemento micro, vale a dire la capacità «di comprendere le operazioni di critica intraprese dagli attori» (Boltanski e Thévenot, 2009: 315) e la loro rilevanza per cambiamenti di tipo macro prodotti dai movimenti di lotta. 

Monticelli sembra consapevole della rilevanza del rapporto micro-macro quando sottolinea che “è necessario mettere da parte il vecchio dibattito se il cambiamento può essere realizzato attraverso strategie che mirano a conquistare il potere politico e istituzionale o attraverso iniziative dal basso, di tipo prefigurativo” (ibid.: 515). La questione però è più complessa e rimanda alla mutua influenza tra pratiche quotidiane e condizionamenti strutturali. È quindi opportuno fare riferimento a strumenti capaci di micro-fondare le trasformazioni sistemiche di cui parla l’autrice. Uno sguardo «micro-fondativo», ma non «micro-riduzionista» (Barbera, 2004: 123), permette di ricostruire la relazione tra due dimensioni analitiche indispensabili e interdipendenti. Per integrare i due aspetti, è opportuno utilizzare il modello della Coleman Boat che «sistematizza in modo elegante una struttura dell’analisi sociologica che è già ben presente nei classici» (Ballarino, 2005: 125).

La Coleman Boat si compone di tre meccanismi che spiegano i rapporti tra dimensione macro e dimensione micro in una prospettiva longitudinale: il meccanismo situazionale (M1 – m1), il meccanismo di formazione dell’azione (m1 – m2), e il meccanismo di trasformazione (m2 – M2). Monticelli si concentra sulla “logica della situazione” – come il contesto macro-strutturale di opportunità, credenze e preferenze degli attori (Barbera, 2004: 92). Descrive la modalità di strutturazione delle azioni dei movimenti sociali in un’ottica che sembra determinata da cambiamenti strutturali del sistema capitalistico. Il passaggio a logiche interstiziali di tipo prefigurativo dipenderebbe dalle nuove caratteristiche del capitalismo e dalle sue crisi cicliche. Sarebbe quindi, in ultima analisi, la sola capacità riproduttiva del sistema capitalistico (la componente macro) a generare il passaggio a M2, bloccando l’azione dei movimenti sociali in un meccanismo situazionale vizioso. 

Per superare tale impasse, una sociologia dei movimenti prefigurativi dovrebbe porre attenzione sui meccanismi di formazione di quegli effetti aggregati, imprevisti, non voluti, che costituiscono il passaggio dalla critica dei soggetti alla critica in forma aggregata. La micro-fondazione degli effetti emergenti “permette di collegare le dimensioni «intenzionali» del processo di formazione dell’azione a quelle «» del percorso micro-macro” (Barbera, 2004: 123-124). Sarebbe quindi opportuno concentrarsi su quella che Boudon definisce “disaggregazione”: «[e]ssa consiste nel cercare il modello microsociologico responsabile dell’effetto aggregato» (Boudon, 1985: 77). Monticelli trascura invece questa analisi disaggregata, collegando l’evoluzione dei diversi tipi di movimento alla sola componente macro. Meccanismi macro effetti aggregati delle interazioni dovrebbero, invece, essere messi in relazione, allo scopo di: «risolvere tre sfide ben note del legame micro-macro in sociologia: la relazione tra identità individuale e identità collettiva, la relazione tra interessi individuali e interessi di gruppo, e la connessione tra le motivazioni individuali e la costruzione di una società» (Barbera, 2021: 554).

Se, come ricorda Boudon, «le vie del mutamento sono irregolari, [ma] non per questo […] incomprensibili» (Boudon, 1985: 139), la loro tematizzazione è importante, al fine di comprendere le azioni, i valori e le forme conflittuali che caratterizzano il modo in cui i movimenti innovativi si oppongono al sistema.

Il saggio di Monticelli offre spunti di riflessione per uno sguardo critico sulla capacità trasformative dei movimenti prefigurativi. Questa prospettiva permetterebbe di micro-fondare i meccanismi di cambiamento attivati dall’anticapitalismo nel Ventunesimo Secolo. Monticelli sembra consapevole delle potenzialità di sviluppo della sua prospettiva quando scrive: “la questione principale è come strategie a livello micro e macro possano essere connesse per ottenere l’obiettivo finale che fino a ora si è rivelato elusivo. Questo rappresenta una delle più grandi sfide per il futuro della teoria radicale” (Monticelli, 2018: 515).

  1. Un esempio: Abuelas y Madres de Plaza de Mayo

Cercheremo ora di verificare l’applicabilità della prospettiva proposta dalla Monticelli, individuando il caso del movimento delle Abuelas y Madres de Plaza de Mayo come esempio di movimento prefigurativo utile per rispondere al nostro quesito: quali sono i meccanismi che dalla dimensione micro (il campo d’azione degli attori sociali) producono effetti sulla dimensione macro (i risultatisistemici)? L’analisi di uno specifico movimento serve a verificare in che modo il mutamento sociale si verifichi in «processi sociali parziali e locali, datati e situati» (Boudon, 1985: 259).

La storia dei desaparecidos e del movimento che, tutt’oggi, ne rivendica la memoria inizia nel ’75, anno in cui Argentina, Paraguay, Uruguay, Bolivia e Brasile si associarono nel Plan Condor, una strategia volta all’eliminazione degli oppositori delle dittature militari (M1 – m1 nel modello della Coleman Boat).
In Argentina non avvenne solo una rimozione fisica del nemico, ma anche il tentativo di eliminarne la memoria. La morte, di per sé, non annichilisce il potenziale di agency dell’attore, poiché la sua memoria può influenzare le azioni altrui. Per la dittatura Argentina, dunque, era necessario eliminare il ricordo dei desaparecidos. Uno strumento furono le adozioni dei figli dei dissidenti da parte di militari e imprenditori vicini al regime. Questi, sostituendosi ai genitori naturali, modificarono l’identità dei figli adottivi per impedire il recupero del progetto politico dei genitori. Il processo fu agevolato da una legge del ’71 (precedente alla dittatura) che impediva agli adottati di accedere alle informazioni biografiche dei genitori naturali. Inoltre, i bambini erano considerati adottabili qualora non fosse stato possibile localizzare i genitori, situazione nella quale si trovavano i desaparecidos (Vallalta, 2009: 148-149).

Nel caso del movimento delle Abuelas y Madres si attuò un insolito “passaggio di consegne” delle istanze di cambiamento dai figli alle madri. La mobilitazione contro la dittatura militare ricadde su attori sociali che si discostavano dall’idealtipo del giovane rivoluzionario. Le ragioni che hanno contribuito alla costituzione di un soggetto politico-collettivo come quello di Plaza de Mayo sono complesse e oscillano tra la dimensione collettiva e individuale dell’azione sociale. Le motivazioni politiche incontrano quelle individuali (ad esempio il dolore per la perdita di una persona cara) producendo un nuovo modo di intendere l’azione collettiva e il ruolo del singolo attore (m1 – m2 nel modello della Coleman  Boat).

Madri e nonne si riunirono per la prima volta in Plaza de Mayo nel ’97. Il dolore individuale determinò l’aggregazione delle diverse soggettività all’interno del movimento (Borland, 2006). Inizialmente l’aggregazione delle donne di Plaza de Mayo non era mediata da tematiche politiche, cosa che avvenne, secondo Borland, a partire dal ’86. In questo periodo si sviluppa quella che Marta Vignola (2012: 150) definisce «famiglia politica», una famiglia che, «saltando la sequenza familiare», costituisce un bacino di identità e memorie in cui ha agito un processo di trasformazione dei rapporti familiari in rapporti politici. Un figlio o un nipote ritrovato non era percepito come fatto privato, ma come una ricchezza collettiva, un tassello della storia politica della comunità argentina.

Il concetto di famiglia politica è determinante per due aspetti. In primo luogo, ha permesso che le nuove generazioni si sentissero vicine al movimento. Questo sia per ragioni storiche, sia perché il processo di identificazione nel ruolo di militante è determinato dall’essere un figlio o un nipote. Ciò comporta una rappresentazione del sé all’interno di un immaginario che è familiare e insieme politico. Le categorie della famiglia politica hanno permesso, inoltre, al movimento delle abuelas di ampliare le tematiche conflittuali, tanto da configurarsi come movimento no-global e contrario al liberalismo economico. Borland, ad esempio, sottolinea come i disoccupati vengano definiti dal movimento come i nuovi desaparecidos del sistema neoliberale, creando così una connessione tra passato e presente.

Madri e nonne, recuperando il progetto politico dei desaparecidos e includendo a questo nuove tematiche, affermano di essere state partorite dai loro figli. A loro volta i figli, afferma Vignola: ”dicevano di «partorire i loro genitori», nel senso che con le loro azioni, volte al recupero della propria identità, restituivano ai genitori la condizione di soggetto” (Vignola, 2012: 150-151). La metafora del parto (ibid.; Borland, 2016) evidenzia l’originalità del carattere prefigurativo (come inteso da Monticelli) del movimento di Plaza de Mayo. La proiezione dell’azione nel futuro avviene in un presente che dialoga costantemente con il passato. Questo perché è la figura del figlio, e non quella dei nonni o genitori, a garantire il collegamento con il passato.

Con Wright (2011), possiamo definire il movimento come interstiziale.

Nella prima fase, la presenza reiterata delle madri in piazza rompeva la quotidianità del consenso al regime, evidenziandone il carattere repressivo. Questa pratica ha avuto effetti macro, anzitutto facendo vacillare il regime e contribuendo alla sua caduta, in secondo luogo favorendo la nascita di un nuovo modello di adozioni, basato sul diritto degli adottati di accedere alle informazioni relative ai genitori biologici. La famiglia politica, nata come pratica di relazione e di protesta, ha dunque avuto effetti concreti sia sul movimento (la possibilità di individuare i nietos), sia sulla società civile argentina e sui processi di democratizzazione (m– M2 nel modello della Coleman Boat). Quando la dittatura lascia spazio alla democrazia, le azioni interstiziali progressivamente producono utopie attuali (Martell), come ad esempio l’Università popolare delle madri di Plaza de Mayo, diventato poi l’Istituto Universitario Nazionale dei Diritti Umani Madri di Plaza de Mayo (http://www.iunma.edu.ar/instituto/iunma_historia.html).

In conclusione, il movimento mostra il potenziale delle analisi di Monticelli, anche in chiave di ulteriori, possibili, sviluppi. Le madri e le nonne costituiscono un tipo specifico di movimento prefigurativo (rivolto al futuro ma con uno sguardo alle radici familiari interrotte), attivano utopie reali (come nell’esempio sopra citato) e con la loro disobbedienza civile (human doing) hanno rappresentato uno dei pochi strumenti di verità nei confronti dei crimini commessi dalla dittatura. Il movimento trasforma pratiche quotidiane, affetti, memorie, sentimenti ed emozioni in motivo di lotta, attivando una forma inedita di contrasto prima alla dittatura, poi alle ingiustizie e alle disuguaglianze sociali. Le madri sono state in grado di creare fratture nel dominio apparentemente monolitico del regime dittatoriale, mostrando con la loro quotidiana presenza in Plaza de Mayo l’insensatezza di una forma di potere violento e inumano. Dopo la caduta del regime, hanno trasformato in comunità di protesta di tipo politico l’originaria comunità di pratiche e di memorie, trasformando i legami di sangue interrotti dal regime in legami politici di opposizione al neocapitalismo e alla crescita delle disuguaglianze sociali ed economiche. Hanno inoltre attivato pratiche economiche alternative di inclusione, dimostrando la forza di una forma nuova di azione collettiva.  Le testimonianze come elemento di disobbedienza e le pratiche a queste connesse hanno rappresentato una modalità micro per attivare cambiamenti macro, dimostrando nella pratica la necessità di dare rilevanza teorica al rapporto tra micro-pratiche (agency) e cambiamento sociale.

Riferimenti bibliografici

Ballarino, G., Analisi sociologica e meccanismi causali. In «Quaderni di Sociologia», 37(2005), pp. 123-127.

Barbera, F., Meccanismi sociali. Elementi di sociologia analitica. Il mulino, Bologna, 2004.

Barbera, F., Mundane prometheus how the renewal of the everyday public sphere can feed a 21st century anticapitalism. In «European Journal of Sociology», 61(3)(2021), marzo, pp. 549-560.

Boltanski L. e Thévenot L. e in Santoro M. e Sassatelli R., Studiare la cultura. Nuove prospettive sociologiche. Il Mulino, Bologna, 2009.

Borland, E., LAS MADRES DE PLAZA DE MAYO EN LA ERA NEOLIBERAL: ampliando objetivos para unir el pasado, el presente y el futuro. In «Scielo», 63(2006), gennaio-giugno. Online: http://www.scielo.org.co/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0121-56122006000100007 (ultima visita il 5 gennaio 2022).

Boudon, R., La place du désordre, [1984], tr. it. Il posto del disordine. Critica delle teorie del mutamento sociale. Il Mulino, Bologna, 1985.

Monticelli, L., Embodying Alternatives to Capitalism in the 21st Century. In «tripleC», 16(2)(2018), pp. 501-517.

Vallalta C., De secuestros y adopictiones: El circuito istituitional de la aprpriaciòn criminal de niños en Argentina (1976-1983). In «Historia Crítica», 38(2009), maggio-agosto, pp. 146-171.

Vignola, M., La memoria desaparecida. Pensa, Lecce, 2012.

Wright, E., O., Transforming Capitalism through Real Utopias. In «American Sociological Review», XX(X) (2012), pp. 1 –25.

 

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