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MOBILITÀ PER TUTTI

Mobilità per tutt3

È stato dimostrato come il trasporto pubblico giochi un ruolo fondamentale nell’accesso a istruzione, lavoro e tempo libero per le fasce più povere della popolazione. Tra queste, una delle fette più consistenti è rappresentata dalle donne, una categoria sotto la quale confluiscono e si sovrappongono un ampio ventaglio di identità diverse, purtroppo non adeguatamente rappresentate dai dati che abbiamo a disposizione. Nonostante la questione di genere sia entrata ormai da decenni all’interno del dibattito su urbanistica e mobilità, il lavoro da fare è ancora tanto, soprattutto in Italia.

Le diversità in movimento

Mentre gli uomini compiono in media viaggi più lunghi e più omogenei, gli spostamenti delle donne seguono uno schema non lineare, composto da più viaggi, a raggio più breve, spesso realizzati utilizzando mezzi diversi. Questa peculiare modalità di spostamento è talmente frequente nella quotidianità femminile da essersi guadagnata una propria definizione: parliamo di trip chaining, o, come definito dall’architetta Inés Sánchez de Madariaga, mobility of care[1], mobilità della cura.

L’utilizzo del termine “cura”, ovviamente, non è casuale: il principale motivo per il quale le donne si muovono tanto puntualmente con questa modalità è rappresentato dalla mole di lavoro di cura di cui sono costrette a farsi carico. Secondo una ricerca Eurostat condotta nel 2013[2], ben il 46,1% delle donne che lavoravano part-time in UE (più del 30% delle donne contro meno del 10% degli uomini) dichiarava di farlo per “responsabilità personali e familiari” contro l’11,7% tra gli uomini, per i quali invece il motivo più frequente era il non aver trovato alternative con contratto full-time.

La situazione del lavoro di cura è poi peggiorata ulteriormente dopo la pandemia da Covid-19.
Basti guardare le risposte degli intervistati Istat[3] (persone di più di 18 anni con figli fino ai 14) sulle attività svolte durante la prima fase della pandemia per farsi un’idea di quanto carico di lavoro di cura venga addossato alle donne rispetto agli uomini all’interno del nucleo familiare eteronormato: su 100 intervistati, la cura dei figli è responsabilità delle donne per il 90%, e si abbassa all’80% circa tra gli uomini, le pulizie passano da circa il 70% a circa il 40%, mentre in cucina il distacco aumenta ancora, separando di ben 40 punti percentuali le donne dagli uomini, con una percentuale superiore all’80 per le une e al 40 per gli altri. Stando allo stesso sondaggio, gli uomini hanno, invece, impiegato un tempo maggiore sia in attività ricreative come lo sport, la lettura, i mass media e, contro ogni stereotipo, la cura della persona, sia nel fare la spesa, un momento che, come ben ricordiamo, era uno dei pochi in cui si potesse uscire di casa durante il primo lockdown.

Insomma, oltre al carico di lavoro all’interno delle mura domestiche, portare i figli a scuola, recarsi al lavoro, andare in banca, a fare la spesa, portare i figli alle attività extra-scolastiche e prendersi cura dei membri anziani della famiglia, anche quando questi fanno parte del nucleo familiare del marito, sono tutti compiti che vengono addossati alle donne, tanto che, stando alla ricerca spagnola condotta nel 2019 da Sánchez de Madariaga[4], questi lavori di cura rappresentano, contro un misero 9% della popolazione maschile intervistata, il motivo di ben il 40% degli spostamenti giornalieri femminili.

Sorge spontanea la domanda: come vengono compiuti tutti questi spostamenti? Stando all’Eurobarometro 2020[5] in UE solo il 59% delle donne si muove in macchina, e molto spesso come passeggere, contro il 66% degli uomini, che molto più di frequente non solo possiede fisicamente il mezzo, ma anche lo guida. Le donne, quindi, come mostra la stessa ricerca, non solo utilizzano di più la bicicletta o si spostano a piedi, ma sono anche le principali utenti dei mezzi di trasporto pubblico: ne fa uso il 31% delle intervistate contro il 24% della controparte maschile.

Non stupiscono, infatti, i risultati ottenuti nel 2020 dalla ricerca dell’EIGE[6] (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere), secondo cui le donne intervistate hanno ritenuto che il trasporto pubblico sia stato “molto importante” nel determinare sia la loro accessibilità allo studio (il 40% contro il 32% degli uomini) sia al lavoro (il 42% contro il 33%) e, in generale, che ritengano della massima importanza anche illuminazione, presenza di parchi e condizione di marciapiedi e aree pedonali, dimostrando come tutte queste infrastrutture abbiano un peso non indifferente non solo sulla loro mobilità rispetto a quella maschile, ma anche sulla loro sicurezza, qualità della vita e addirittura reddito.

Il trasporto è per tutt3?

Sarebbe dunque sensato immaginare che mezzi e tratte del trasporto pubblico siano stati disegnati pensando anche alle esigenze femminili, ma, come troppo spesso accade, il mondo non ricalca le necessità di quelle categorie che più avrebbero bisogno di assistenza.

La struttura delle città e, conseguentemente, la mobilità sono state ricalcate dagli uomini sulle loro specifiche esigenze attraverso un disegno del trasporto pubblico che segue le loro modalità di spostamento, e che costa alle donne più soldi e più tempo.

Viene ricalcato, quindi, un pattern che, privilegiando gli orari di punta lungo direttrici che vanno dalla periferia al centro, gioca a svantaggio delle utenti, le cui modalità di spostamento sono in media più circolari che radiali e, tendenzialmente, più lontane dagli orari di maggiore traffico.

Tutto questo, però, non deve stupire: stando al rapporto 2021 della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento europeo (FEMM) [7], la media UE di impiegate nel settore dei trasporti si attesta al solo 18,6%, percentuale che in Italia scende fino al 17,9%.

Ci si potrebbe aspettare, se le donne fossero maggiormente impiegate in questo settore, una mobilità più attenta alle necessità femminili (ma questo non è così scontato: fatti recenti ci hanno ricordato che non necessariamente una donna farà gli interessi delle altre, ma che anzi, a livelli alti di potere accedono solo donne che si tengono ben alla larga dalle questioni femministe), più attenta all’ambiente e anche più sicura: stando alla ricerca di Ortega[8] del 2019, le donne, tenendo comunque presente la minore possibilità di permettersi e di guidare un’automobile, sono molto più caute alla guida, e causano meno incidenti.

Tra i tanti motivi per i quali in questo settore c’è un indice di impiego femminile così basso ce n’è uno che sicuramente spicca tra gli altri: dalla ricerca del 2017[9] condotta da Jane Pillinger su 13 paesi, di cui 11 stati membri dell’UE, per l’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) su violenza e molestie nel mondo del lavoro è emerso come, tra le impiegate nell’ambito dei trasporti, avesse subito violenza l’82% delle intervistate, di cui il 18% riportava di averne subite più di cinque anni prima dell’intervista, il 38% tra 1 e i 5 anni precedenti e ben il 44% durante lo stesso anno. Cifre che fanno accapponare la pelle e che aumentano al diminuire dell’occupazione femminile nell’ambiente.

C’è anche da sottolineare come le molestie sui mezzi pubblici non siano un problema delle sole impiegate nel settore. Stando a una ricerca Istat[10] del 2018, infatti, questo tipo di violenze sulle donne avvengono in assoluto più di frequente sui mezzi pubblici, nel 27,9% dei casi, e, a seguire, in strada, nel 16,1%. Purtroppo, non sono presenti abbastanza dati per poter indagare quanto questa stessa incidenza colpisca una delle categorie più svantaggiate in assoluto all’interno della nostra società, e cioè la comunità LGBTQ+.

Grazie però a un’indagine condotta dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA)[11] nel 2012, possiamo cercare di farci un’idea, per quanto riduttiva, sulle molestie subite nello specifico dalla comunità trans: nel 42% dei casi le violenze subite nei 12 mesi precedenti l’intervista sono state tre o più, con crossdresser donne e donne trans tra le categorie più colpite; invece, riguardo le sole violenze perpetrate sui mezzi pubblici, sono state le ultime subite nel 9% dei casi e le più gravi nel 7%.

È però bene sottolineare ancora una volta come questi dati siano solo una goccia nel mare, anche perché, come specificato all’interno della stessa ricerca, nel 62% dei casi in cui le vittime dichiaravano di non aver denunciato gli attacchi subiti, era per sfiducia nelle istituzioni. Un dato, questo, che dimostra come la violenza verso la comunità trans si trascini anche all’interno dei luoghi dove le vittime dovrebbero trovare sostegno e accoglienza.  

Oltre alle molestie, un’altra grande problematica del trasporto pubblico è rappresentata dall’accessibilità fisica ai mezzi: ascensori non funzionanti nelle stazioni di treni e metro, autobus non idonei alla salita di carrozzine e passeggini, pochi annunci vocali di fermata e insufficienza di indicazioni in braille sono solo alcuni degli esempi.

Secondo una ricerca Istat[12] del 2013 dichiarava difficoltà di utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici il 77,3% degli intervistati con soli problemi alla vista, il 65,2% con soli problemi all’udito, l’88,3% di chi presentava entrambi i problemi e il 42,7% di chi ne presentava di altri. Un problema questo che oltre a colpire le persone con disabilità fisica, lede altre categorie che più avrebbero bisogno di un trasporto pubblico accessibile, anche economicamente parlando: donne anziane e sole e donne straniere.

Secondo la rilevazione sulle disuguaglianze in Italia condotta dall’Istat[13] nel 2021 le donne anziane e sole rappresentano una grossa fetta delle famiglie in povertà assoluta, circa 200mila, superate solo dalle famiglie di occupati con basso profilo professionale e figli minori, quasi 300mila unità, che crescono oltre le 450mila nel caso in cui almeno un membro della famiglia non sia in possesso della cittadinanza italiana. E nel caso in cui il nucleo familiare sia a composizione unicamente straniera, l’incidenza di povertà assoluta supera il 30%, contro il 5,7% tra le famiglie italiane.

Buone pratiche dall’UE

Ampliare e migliorare il trasporto pubblico basandosi sulle necessità delle categorie più svantaggiate della popolazione farebbe un’enorme differenza: lo studio sull’inclusione sociale nel trasporto pubblico in UE[14] condotto nel 2015 dal Parlamento europeo ha constatato come quanto più gli individui sono in condizioni di povertà, tanto più gli sono necessari i mezzi pubblici per poter studiare, lavorare e vivere appieno il proprio tempo libero.

Proprio su questi presupposti, alcune città dell’UE hanno rivoluzionato i loro volti[15]. Dal 2006 a Berlino è stato introdotto un Gender Check, che assicura vengano prese in considerazione le necessità di diverse categorie di utenti, e che ha introdotto delle innovazioni semplici, ma efficaci: fermate dei mezzi pubblici ogni 300-400 metri in base alla densità di popolazione della zona, accesso più semplice per persone con disabilità fisica, che si muovano in carrozzina o che portino passeggini, e piste ciclabili e percorsi pedonali collegati direttamente e senza barriere con le fermate dei mezzi.

Malmö in Svezia, invece, lavora dal 2011 per migliorare la vita di chi utilizza mezzi di trasporto o si muove a piedi o in bici: alcuni semplici accorgimenti come la rimozione di cespugli e arbusti nelle vicinanze delle fermate, l’eliminazione delle entrate meno illuminate e l’istituzione di fermate a richiesta durante la notte hanno migliorato sensibilmente la vita degli utenti. Un’attenzione particolare è stata anche data alla periferia di Rosengård, ora collegata a Malmö anche tramite piste ciclabili e percorsi pedonali. Uno degli aspetti più interessanti emersi dalle indagini condotte nella città svedese è stata l’assoluta necessità di concentrarsi sugli uomini per convincerli ad adottare comportamenti di mobilità più simili a quelli delle donne.

Infine, Vienna, che si interessa alla mobilità specificatamente femminile da più di trent’anni. Le condizioni di pedoni, ciclisti e pendolari sono state ottimizzate ampliando i marciapiedi, soprattutto in prossimità di scuole e altre istituzioni pubbliche, introducendo fermate ogni 500 metri per la metropolitana e ogni 300 metri per tram e bus, aumentando il numero di panchine, di filari alberati e di semafori che privilegiano i pedoni, fungendo anche da deterrente alla mobilità su ruote. A Vienna, però, non si sono limitati alla sola mobilità, ma hanno rivoluzionato l’intera città adottando il cosiddetto gender mainstreaming, la pratica cioè di progettare, attuare, monitorare e valutare le politiche e i programmi in tutti gli ambiti politici, economici e sociali in una prospettiva di genere.

Nella Capitale austriaca, infatti, è stato istituito un ufficio di coordinamento composto da sole donne, il Frauenbüro, che si occupa di gestire e controllare che la policy sulla progettazione urbanistica sia, come dal 2002, in linea anche con le necessità femminili. Questo è stato possibile grazie all’intervento dell’architetta Eva Kail, pioniera del gender mainstreaming in ambito urbanistico, che, partita da un solo condominio (il Women-Work-City, completato nel ’97 e supervisionato in toto basandosi sulle necessità femminili) è poi passata a un intero quartiere, il Mariahilf, distretto centrale e densamente popolato, divenuto progetto pilota per quella che viene ora definita una pink city. Ora a Vienna non rispettare il gender mainstreaming nella pianificazione della città è diventato reato.

E in Italia?

Nonostante in UE la questione di genere sia entrata nel dibattito su urbanistica e mobilità ormai da decenni, in Italia l’argomento non ha attecchito con la stessa intensità, limitandosi all’introduzione di parcheggi e taxi rosa.

D’altra parte, quello del trasporto pubblico è un tema su cui non si è investito quanto la grande importanza rivestita da questa infrastruttura presupporrebbe, tanto che il nostro utilizzo di tram e metro non solo è la metà della media UE, ma ci pone addirittura al quintultimo posto della classifica, superando solo Danimarca, Irlanda, Lussemburgo e Turchia, come mostrato dallo statistical pocketbook 2021[16] della Direzione generale della Mobilità e dei trasporti della Commissione europea.

La scarsità di un sistema di mezzi pubblici adeguati, poi, si acuisce man mano che si scende lungo lo stivale: come mostrato dal rapporto condotto da Legambiente nel 2021 sulle performance ambientali delle città, Ecosistema urbano[17], i primi cinque posti per offerta di trasporto pubblico (calcolata in chilometri percorsi annualmente dal complesso delle vetture divisi per abitanti) sono occupati da Milano, Roma, Trieste, Venezia e Siena, mentre agli ultimi cinque troviamo Biella, Sondrio, Caltanissetta, Vibo Valentia e Ragusa. Per quanto riguarda i dati sul numero di passeggeri (calcolati sui viaggi per abitante) abbiamo ancora Milano, Venezia, Roma, Genova e Bologna, mentre in fondo ci sono Imperia, Sondrio, Crotone, Siracusa e Vibo Valentia. Come si può vedere, in testa ci sono le grandi città del centro e del nord, mentre sono le province di Sicilia e Calabria a chiudere queste classifiche, con le uniche eccezioni rappresentate da alcune province settentrionali con territori dalla difficile orografia.  

Nell’anno più caldo mai registrato in Italia dal 1800[18], investire sul trasporto pubblico, soprattutto nelle zone che più ne avrebbero bisogno, basandosi sulle esigenze di chi più ne dipende, non significherebbe una mobilità migliore solo per le donne, ma per tutt3: come mostrato dai dati offerti dalla Commissione Europea[19], più del 70% delle emissioni di gas serra prodotte in Europa dal settore dei trasporti, che produce da solo circa un quarto delle emissioni totali, proviene dal trasporto su strada. Un dato, questo, che diminuirebbe drasticamente se impiegassimo i capitali che abbiamo a disposizione a favore di una maggiore capillarità e accessibilità del servizio, dei mezzi su rotaie, di ciclabili e di mezzi di trasporto ecosostenibili. Peccato però che la fetta più ampia del fondo europeo per il Pnrr, circa 40 miliardi, sia al momento nelle mani del nuovo Ministro delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibile Matteo Salvini, il cui unico pensiero sembra invece essere il famigerato e irriducibile Ponte sullo Stretto di Messina.

Il futuro, insomma, non sembra affatto roseo. 

[1] Sánchez de Madariaga, Inés. (2013). Mobility of care: Introducing new concepts in urban transport. Fair Shared Cities: The Impact of Gender Planning in Europe. 33-48. 

 

[2] Eurostat, European social statistics – 2013 edition https://ec.europa.eu/eurostat/documents/3930297/5968986/KS-FP-13-001-EN.PDF/

 

[3] Istituto Nazionale di Statistica, Rapporto annuale 2020, 2020 https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2020/capitolo1.pdf

 

[4] Sánchez de Madariaga, I. and Zucchini, E. (2019). ‘Measuring Mobilities of Care, a Challenge for Transport Agendas’. In: C. Scholten and T. Joelsson (eds.), Integrating Gender into Transport Planning. Palgrave Macmillan

[5] Eurobarometer(2020a). ‘Mobility and Transport’, Special Eurobarometer Report, No. 495.

[6] Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, Gender equality and urban mobility, 2020 https://eige.europa.eu/publications/gender-equality-and-urban-mobility

 

[7] Parlamento europeo, Direzione generale delle Politiche interne dell’Unione, Sansonetti, S., Davern, E., Women and transport, Parlamento europeo, 2021, https://data.europa.eu/doi/10.2861/70855

[8] Ortega A., Grosso M., Hag G., Tsakalidis A., Women in Transport Research and Innovation: A European Perspective, 2021 Sustainability | Free Full-Text | Women in Transport Research and Innovation: A European Perspective | HTML (mdpi.com)

[9] Violence and harassment against women and men in the world of work: trade union perspectives and action / International Labour Office, Bureau for Workers’ Activities (ACTRAV). – Geneva: ILO, 2017 https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—ed_dialogue/—actrav/documents/publication/wcms_546645.pdf

[10] Istituto Nazionale di Statistica, Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro, 2018 https://www.istat.it/it/files//2018/02/statistica-report-MOLESTIE-SESSUALI-13-02-2018.pdf

 

[11] Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, Essere trans nell’UE, 2014  https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra-2015-being-trans-eu-comparative-summary_it.pdf

[12] Istituto Nazionale di Statistica, Studio sulla popolazione di persone con disabilità sensoriali e plurime in condizioni di gravità https://www.fishonlus.it/allegati/LegaFilodOro_RicercaISTAT.pdf

[13] Istituto Nazionale di Statistica, Rapporto annuale 2022, 2022 https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2022/Capitolo_4.pdf

[14] opean Parliament, Social Inclusion in EU Public Transport – Study, 2015 Social inclusion in EU public transport (europa.eu)

[15] CIVITAS WIKI Consortium, 2014 https://civitas.eu/sites/default/files/civ_pol-an2_m_web.pdf

[16] European Commission, Directorate-General for Mobility and Transport, EU transport in figures: statistical pocketbook 2021, Publications Office, 2021, https://data.europa.eu/doi/10.2832/27610

 

[17] Legambiente, Ecosistema Urbano, 2021, https://www.legambiente.it/rapporti/ecosistema-urbano/

 

[18] Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, 2022, https://www.isac.cnr.it/climstor/climate_news.html

[19] https://climate.ec.europa.eu/eu-action/transport-emissions_en

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