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L’ESTREMISMO DI CENTRO

L’Occidente è un mondo di moderati.

Dall’ultimo agricoltore sud-europeo al primo degli industriali in coda in tangenziale con il nuovo suv in leasing, passando per gli impiegati delle burocrazie statali, arrivando agli studenti coi soldi di papà, gli occidentali appartengono in larga maggioranza a quella schiera sociale e politica dei cosiddetti moderati. Ricchi o poveri che siano, i cittadini del nostro mondo si tengono bene alla larga dai cambiamenti più o meno radicali, dal momento che – credo – hanno moderatamente paura che le cose si mettano moderatamente peggio di come stanno ora. 

Come dargli torto? Bene o male, siamo abituati all’equilibrio su quella corda sospesa a decine dimetri d’altezza, che anche soltanto un lieve soffio di vento può spostare e farci precipitare a picco. Allora meglio stare in equilibrio, immobili, ben consapevoli dell’enorme pericolo che si correrebbe se solo tentassimo di fare qualche passo avanti. Qualcuno dal basso, coi piedi però ben appoggiati a terra, ci convince (senza nemmeno insistere troppo) a non muoverci, a non stare né a destra né a sinistra, a non fare nemmeno un passettino indietro e figuriamoci in avanti. Ecco quel qualcuno; sono i moderati di professione, perfettamente aderenti al communis consensus.
Qui da noi in Italia, ben prima della nascita di questo nostro disgraziato Paese unificato, i moderati rappresentavano già quel movimento cautamente riformista che – a differenza di Mazzini e della sua auspicata rivoluzione popolare – preferiva gli accordi e i patti segreti con le grandi potenze straniere. Possiamo capirli in fondo, essendo questo movimento dei moderati un raggruppamento di aristocratici, soldati, intellettuali e uomini d’affari. Insomma già allora emergeva la figura del moderato di professione, restio ai cambiamenti, tanto meno quelli drastici, per poter mantenere quel saldo controllo dei propri affari personali che solo in una condizione di calma sociale potevano essere sicuri di dirigere con dovuta attenzione. Così è anche oggi. 

L’uomo moderato di professione è vivo e vegeto anche nell’Italia attuale: è quel signore che dal basso ci invita con ardore a rimanere fermi in equilibrio sulla nostra corda tesa e ad accontentarci di piccole e moderate riforme, con la promessa che il vento prima o poi cesserà e che sarà finalmente possibile, cautamente e moderatamente, percorrere quella benedetta corda. Avanti o indietro non è dato saperlo. 

Nella storia umana recente, le ideologie e l’estremismo hanno spesso percorso medesimi sentieri, a volte fondendosi quando l’azione politica non era altro che emanazione diretta di una concezione ideologica della vita umana, che divide ciò che è bene e ciò che è male universalmente. Intendiamoci sinceramente, sposare un’idea radicale può significare ricercare una modificazione sistemica della realtà, della società e dei suoi meccanismi, può significare difenderla anche permezzo di azioni meritorie e spesso disinteressate. Possiamo invece affermare che un’ideologia fusa al proprio estremismo sfocia nel cinismo dell’attività politica, che non indugia nell’arrecar danno ad altri se il fine è quello di mantenere fermo l’obiettivo da raggiungere o il mantenimento di una condizione di fatto già raggiunta. L’estremismo (come dicevamo diverso dal radicalismo) non è soltanto quello di destra o quello di sinistra: ne esiste un terzo, forse meno noto ma certamente più longevo e storicamente meno barcollante degli altri, quello moderato, cosiddetto “di centro”. 

Proprio nel distogliere il nostro sguardo dalle “pericolose” idee radicali (semplicisticamente definite, a torto, come estremiste) che fanno appello a gran voce ai cambiamenti di grande portata, essi, i moderati, esercitano ‘estremisticamente’ il proprio potere per imporre la propria visione di un ordine ben preciso e ben studiato. Da una parte stigmatizzando ogni forma di pensiero alternativa al proprio (nella loro narrazione i radicali e gli estremisti sono la stessa cosa), additandola come ideologica (abbiamo scoperto che le ideologie non sono politicamente corrette!), per far posto all’unica verità possibile e accettabile, un mondo appunto libero dalle ideologie. Dall’altra attraversol ’emanazione di rigide leggi e per mezzo del controllo dei principali mezzi di comunicazione, rimuovendo di fatto la possibilità di un altro-pensiero, in favore della “religiosa” libertà e dell’ideologica unica-vera-verità. Abolire dunque la parola ‘ideologia’ affinché ne sopravviva solamente una, chiamata libertà. Mi si permetta un piccolo inciso: poter esprimere la propria opinione ‘liberamente’ non significa affatto farla competere e valere pubblicamente, politicamente, universalmente. Questo credo sia sotto gli occhi di tutti. 

Torniamo alla libertà, esaltata ideologicamente e adoperata dai moderati nel suo senso più vacuo, quello individualista e privo di orizzonti, come perenne semantema utile ad un sistema di regole adatto a garantire la sopravvivenza di un sistema sociale ed economico ben definito. Indovinate quale! Proprio attraverso l’imposizione di norme e leggi che tutelano solo e soltanto una particolare e definibile libertà, quella del mercato e dei suoi ingranaggi. 

La necessità di equidistanza da ogni alternativa di pensiero (anche solo radicale, non estremistico), sposta i cosiddetti moderati esattamente al centro, precisamente a metà dagli altri estremi. Ma è proprio la demonizzazione di altri-pensieri e la loro messa al bando con ogni mezzo, che trasforma il sedicente moderato in perfetto integralista: in questa contraddizione si genera un nuovo estremismo, l’estremismo di centro, che toglie di mezzo le altre ideologie per far posto all’unico pensiero possibile, l’unica ideologia accettabile – quella del mercato e del suo funzionamento –mascherando attraverso il proprio posizionamento nella retta nel punto centrale (e perciò apparentemente moderato) un vero e proprio estremismo di centro. Proprio l’intransigenza dell’ideologia moderata ne costituisce a tutti gli effetti un carattere estremistico. 

Il meccanismo rodato da decenni (forse secoli) è sempre il medesimo: detenere il potere politico con ogni mezzo grazie alla connivenza con quello economico, escludere dal paniere delle idee accettabili quelle che mettono in discussione il mercato-padrone come sovrano dei processi economici e sociali, spingere al proprio servizio tutti i mezzi di informazione e comunicazione colfine di creare una solida base di consenso popolare, rinsaldare tale consenso con l’adozione di minime contromisure di welfare, manomettere le leggi naturali e piegarle al servizio della finanza e delle imprese multinazionali. 

Quegli estremisti di centro, che amano farsi chiamare moderati, li riconoscerete dall’uso mite del linguaggio, dalla compostezza delle argomentazioni e dal vuoto di orizzonti e di prospettive che inseguono. Sono quelli seduti sullo stesso pianeta in urgente sofferenza climatica, mentre da una parte prendono cautamente accordi con le imprese del carbone e dall’altra ci convincono che per ora è l’unica scelta sana da fare; sono quelli che alzano delicatamente muri davanti a chi scappa dalle guerre e dalla povertà, entrambe conseguenze delle proprie scelte ideologiche e politiche; sono quelli che finanziano le Università e i College privati a danno dell’istruzione pubblica, così come per il sistema sanitario, convincendo benissimo anche i poveri ad accettarlo come ineluttabile. 

Perché la liberà non è vivere in un pianeta sano, non è auspicare il disarmo globale, né garantire libero e universale accesso alla salute e ai saperi. La libertà, per costoro, è la libertà del dilagante consumo sfrenato, quella del successo professionale del self-made-man, quella della libertà dimassacrare l’esistenza di interi popoli e salvaguardare l’impianto marcio del nostro sistema sociale. Fanno tutto questo convincendo la maggioranza della popolazione, in cambio di abbigliamento abasso costo, di cibo spazzatura e di una decente connessione dati per lo smartphone, che queste sono le uniche vie per un qualche progresso stabile e per una certa “pace sociale”.Però, dobbiamo ammettere che lo fanno con estrema moderazione di linguaggio.

 

Adamo Mastrangelo (regista e scrittore)

Autore e regista del documentario “Nel Ventre di Milano” 2021, videoclip musicali per artisti italiani e internazionali. Ha pubblicato il saggio “Foibe, quello che non si dice”, 2009. Ha collaborato con Edizioni Underground Milano, Museo MAXXI Roma, fiera editoria indipendente Milano, Confindustria Food/Turismo Lecce come Art Advisor, Mastgood Milano come Art Advisor, quotidiano La Rinascista Roma come pubblicista, Il Manifesto come pubblicista, tra cui intervista a Margherita Hack, Teti Editore Milano come scrittore e pubblicista. Attualmente sto lavorando ad un documentario sulle disparità fra nord e sud italiani.

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