Skip to content Skip to footer

IL SOTTOSCALA DI TINA

Tina è la mia migliore amica. Quasi tutti i pomeriggi dopo aver fatto i compiti mia nonna mi accompagna a casa sua. Lei sta in una casa a schiera e la vecchietta che vive accanto a lei un giorno ci ha tolto il malocchio e mi ha messo tanta paura ma non l’ho detto a mia mamma perché sennò si arrabbia e non mi manda più a casa di Tina. 

Io e Tina andiamo anche a scuola insieme dalla prima elementare e quest’anno abbiamo l’esame di quinta. Mi dispiace che Tina studi poco e che prenderà un brutto voto. Io se prendessi un brutto voto ci rimarrei davvero malissimo ma lei dice che a lei non interessa e io ci credo. 

Tina infatti è molto coraggiosa. È bella, bionda e piace tanto a Luca e Nicola, i nostri due compagni di classe più carini. A volte vorrei essere carina come lei però poi penso che sarebbe davvero difficile parlare con tutti e giocare coi maschi, che io mi vergogno e che anche se fossi carina mi vergognerei comunque.

Lei mi ha anche raccontato che un giorno era andata in bagno con Nicola e si era tolta le mutandine ma lui no. Le ho chiesto perché l’avesse fatto ma mi ha detto che non lo sapeva. Io non lo potrei mai fare. Poi a me non piace la mia cosina perché c’è un neo lì in mezzo e non voglio che lo veda nessuno tranne mamma e nonna. Anche mio papà davanti a me non si toglie mai le mutande e quando va in bagno chiude a chiave la porta. Mamma invece no ma lei ha tanti peli e lì sotto non si vede niente.

Anche oggi non vedo l’ora di andare a casa di Tina e infatti ho detto una bugia a nonna che il compito l’avevo già finito ma mi manca ancora una pagina. Però sono già le tre e se non partiamo subito dopo io e Tina possiamo stare poco tempo insieme visto che a casa sua cenano presto, alle sette, perché sua mamma non lavora e suo papà esce presto e nonna dice sempre che è brutto stare per le case quando la gente deve mangiare. 

Mi dispiace di aver detto una bugia a nonna ma tanto so che dopo lo finisco il compito e quindi non è proprio una vera bugia. Le prossime volte sarò più veloce e non mi lascerò il compito all’ultimo anche perché non mi piace studiare la sera ma soprattutto non voglio più dire le bugie a nonna. 

Ogni volta mentre con nonna stiamo camminando verso casa di Tina lei si lamenta sempre perché quando esco da casa sua puzzo di fumo e lei appena torniamo a casa mi fa cambiare ma mamma quando torna dice comunque che i miei capelli puzzano di mozzicone e si lamenta con nonna che la mamma di Tina fuma e basta e che farebbe meglio ad andare a lavorare.

Io non ho mai detto a Tina cosa dice la mia mamma della sua. La mamma di Tina alla fine lavora; qualche pomeriggio pulisce le case dei ricchi e infatti dice sempre che non ha voglia di pulire casa sua. Ci pensa Tina a farlo perché sua mamma dice che tanto, visto che studia poco, è meglio che faccia qualcosa di utile e impari un mestiere. Quando arrivo a casa sua la trovo infatti quasi sempre a spazzare o a mettere i piatti nella credenza. 

Tante volte invece, quando ha fatto presto a pulire e sua mamma è già andata via, Tina mi aspetta sul divano e guarda una telenovela, mi lascia la porta aperta e io so allora che non devo bussare o suonare il campanello perché lei è sola e quindi non passo da maleducata. Tutte le volte nonna borbotta quando Tina mi lascia la porta aperta perché dice che potrebbe entrare chiunque e quindi aspetta sempre che la chiuda dietro di me prima di andare via. 

Oggi nonna mi ha detto che mi viene a prendere alle sei perché per cena mangiamo il polpo con le patate lesse e ci vuole tempo e lei non esce quando ha la roba sul fuoco. 

Arrivate nella corte di Tina, la sua porta è socchiusa. Io entro mentre nonna borbotta qualcosa, la saluto con la mano e mi richiudo la porta dietro così lei è contenta e va a casa tranquilla. 

Appena entri, la casa di Tina ha un grande ingresso molto disordinato. Sulla destra c’è un grande armadio con le ante sempre aperte. Se lo vedesse mia mamma andrebbe su tutte le furie che lei odia quando lascio le ante aperte. Dentro l’armadio ci sono tante scarpe di Tina, di sua mamma e di suo papà. Ci sono anche tanti scatoloni e vestiti piegati malissimo. 

La porta che dà sulla cucina è in fondo a sinistra e davanti, opposto alla porta d’entrata, c’è il sottoscala, sempre chiuso, con una porta a soffietto in legno. La mamma di Tina non vuole che ci andiamo, dice sempre che ci sono dei topi enormi ed è pericoloso. Tina non ci crede che ci siano i topi ma mi ha detto che una volta c’è entrata e sua mamma se n’è accorta e l’ha picchiata con una ciabatta.

Neanche io ci credo tanto perché una volta che era aperto mi ci sono affacciata e ho visto che su degli scaffali c’erano delle conserve e delle patate e so da nonno che i topi le mangerebbero e non penso che la mamma di Tina non lo sappia. Comunque io non l’ho detto a nessuno che sua mamma mi ha detto che in casa sua ci sono i topi perché poi a casa mia ci credono e non mi mandano più a casa di Tina. 

Entro in cucina e vedo che la tavola non è riordinata e mi sembra strano perché Tina sa che io vado via sempre o alle sei o alle sei e mezza e sua mamma torna quasi sempre quando io vado via o sto per andare via e si arrabbierebbe se non la trovasse pulita. Ci rimango male perché penso che allora possiamo giocare meno o che prima di andare via la devo guardare mentre pulisce e io non ho tanta voglia. 

Sulla destra c’è un arco da cui si entra nel salotto. Ci passo e vedo che Alice è tutta spaparanzata sul divano con la luce spenta e la televisione accesa con la solita telenovela. Anche se sua madre non c’è, la puzza di fumo è tanta e c’è nell’aria un grosso fumacchio in cui penetra la luce della televisione. Poi mi accorgo che Tina sta fumando una sigaretta. 

«Ma che fai?», esclamo io.

《Fumo», risponde lei dandomi uno sguardo di sbieco con un ghigno e abboccando la sigaretta.

«Ma ti piace?» 

«Sì, non è la prima volta.»

«E perché fumi?»

«Perché mamma è una stronza e io le finisco le sigarette.»

«Perché stronza?», le chiedo mentre mi avvicino al divano e mi metto seduta.

«Perché è una puttana!», sbotta lei e spegne la sigaretta nel posacenere. 

È la prima volta che Tina chiama sua mamma così. A volte dice che è matta, spesso che è una stronza, ma così non ce l’aveva mai chiamata. Vorrei chiederle se non ha paura che sua mamma si accorga che ha fumato ma poi penso che è una domanda stupida e che poi Tina si arrabbia anche con me e non giochiamo più. Mi sdraio accanto a lei e mi metto a guardare la telenovela che non mi piace per niente ma a lei sì e siccome sono ospite sarebbe brutto dirglielo. Tanto fra pochissimo finisce e possiamo cominciare a giocare. Appena parte la pubblicità lei infatti di solito spegne subito la televisione e propone qualcosa di divertente da fare. 

Questestate Tina ha inventato un gioco divertentissimo che lei ha chiamato Merda e che per questo non ho raccontato a mamma perché è una parolaccia e lei non vuole che dica le parolacce. Il gioco Merda l’abbiamo fatto in giardino e dovevamo immaginare che per terra c’erano tante cacche del suo cane che ci volevano mangiare come se fossero piranha e noi dovevamo saltare di continuo e cercare di non farci prendere i piedi e ci arrampicavamo ovunque per scappare dalle cacche cattive. Il suo cane correva e giocava con noi ma secondo me non capiva mica cosa stavamo facendo. 

Il suo cane si chiama Devil ed è un Dobermann. Non è proprio di Tina perché lo porta a giro e gli dà da mangiare suo papà ma Devil vuole bene anche a lei e anche a me perché ormai mi conosce. Mamma non vuole che noi stiamo in giardino con Devil perché dice che se un giorno impazzisce e mi dà un morso mi devono portare dal chirurgo plastico per rifarmi la faccia ma rimarrei comunque sfigurata. 

Capisco perché mamma si preoccupa. Devil ha una bocca enorme e dei denti lunghissimi bianchi bianchi perché suo papà gli dà sempre i bastoncini per pulirli, ma lei non lo conosce Devil. È un cane buonissimo e dolce anche se dopo che suo papà gli ha fatto troncare le orecchie e gli sono diventate ritte sembra molto più minaccioso.

La scorsa volta invece ci siamo spogliate e abbiamo messo al collo le tovaglie grandi di sua mamma e facevamo finta di essere due supereroine venute dallo spazio. Non ho raccontato a mamma che eravamo tutte nude perché sennò poi dice che sono giochi volgari e non mi manda più a casa di Tina.

La telenovela è finita ma oggi Tina non fa niente, la guardo mentre è immobile sdraiata sul divano che fissa la pubblicità come se io non ci fossi. 

«A cosa giochiamo?», mi decido a chiederle. 

Lei allora si alza di scatto. Spegne la televisione e si getta dietro il telecomando. Si rilancia sul divano atterrando sulle ginocchia accanto a me.

«Giochiamo a nascondino!», esclama sorridendo compiaciuta.

Non faccio in tempo a dirle che mi va bene, anche se nascondino non è il mio gioco preferito, che lei mi fa: «Parto io a nascondermi!», e salta giù dal divano. 

«Conta fino a trenta. E faccia al muro», mi urla mentre corre verso le scale. 

Io faccio come mi dice anche se non mi piace contare e preferivo fare sasso carta o forbice per decidere ma non mi lamento perché oggi Tina è strana. Mi alzo e mi avvicino al muro, appoggio il viso sul braccio alzato inizio a contare: uno, due, tre… trenta.

Mi giro e penso a dove andare. La casa di Tina ha due piani, il piano terra e il primo piano dove c’è il bagno e le due camere da letto. Vado verso la rampa di scale, salgo il primo scalino. Poi esito. Non so se salire o andare prima a sbirciare in cucina perché se vado su e poi lei è davvero in cucina fa prima lei a dire tana e dopo devo contare di nuovo io e non ho per niente voglia. 

Scelgo la seconda opzione e mi affaccio in cucina che è subito a destra delle scale. Sbircio ma Tina in cucina non c’è. Con due saltelli torno quindi verso le scale e le salgo piano piano per non farmi sentire.

La camera da letto dei suoi genitori sarebbe troppo facile perché è quella più grande e con più posti dove nascondersi quindi non credo si sia nascosta lì. Tina è molto furba. La sua camera invece è piccola e ha due letti singoli appoggiati ai due muri più lunghi. Tutto intorno ai letti ci sono gli armadi dove è impossibile nascondersi perché sono tutti divisi in piccoli ripiani. Un lato per lei e uno per sua sorella che ora è grande e sta col suo fidanzato. Anche sotto i letti è impossibile perché ci sono i cassetti.

Penso quindi al bagno, che è subito a destra salite le scale mentre le camere sono a sinistra: prima quella di Tina e alla fine del corridoio quella dei suoi genitori. Si è sicuramente messa dentro la doccia che ha le tendine bianche coi fiori e dietro non si vede nulla. 

Quando arrivo a metà della rampa mi viene in mente che forse vuole fregarmi e si è proprio nascosta nel posto più facile perché anche Tina sa che nemmeno io sono stupida. Decido quindi di controllare subito in camera dei suoi genitori. 

Salgo le scale in punta di piedi e percorro il corridoio con passo felpato. Apro la porta socchiusa. È tutto buio. Mi avvicino ad un lato del letto, mi chino lentamente tenendo il respiro e guardo sotto il letto. Ma Tina non c’è. Uffa. Mi aspetto di sentire urlare tana dal piano di sotto ma in casa sembra non esserci nessuno. 

Esco in punta di piedi e arrivo davanti alla sua camera. Apro delicatamente e nel mentre ho un sacco paura che Tina sia lì e mi tiri un urlo da dietro la porta e mi spaventi a morte. Mi faccio coraggio e la spalanco, schizzando la testa di qua e di là. Ma Tina non c’è.

Rimango immobile per un secondo. Sono già tutta sudata. Penso che alla fine non ho voglia di giocare a nascondino. Mi fa agitare e forse è meglio se finisce subito e Tina fa “tana” così è contenta e allora le posso dire di cambiare gioco. Scendo allora le scale, piano, perché non voglio che Tina pensi che lo sto facendo apposta.

Vorrei quasi andare a mettermi a sedere sul divano ma è meglio andare in cucina così Tina poi sbuca dalle scale perché sicuramente è nascosta in bagno e fa tana. Aspetto in silenzio qualche secondo in piedi accanto al tavolo da pranzo quando ad un certo punto sento un rumore venire dall’ingresso. Allora è lì! Non so cosa fare. Però poi penso che non ho più voglia di aspettare e vorrei tanto andare a giocare alla Nintendo a sparare alle anatre.

Varco la soglia che dalla cucina dà sull’ingresso, mi guardo intorno ma Tina non c’è. Non entrerebbe mai in quegli scomparti pieni di cose in disordine. Vedo poi che la porta a soffietto del sottoscala è leggermente aperta. È cattiva Tina oggi. Si è nascosta lì perché così pensa di farmi paura. E infatti ho un po’ paura ma mi ha fatto arrabbiare. Mi avvicino. Le voglio far capire che non sono una fifona cocca di mamma, come mi chiama lei a volte. Spalanco la porta. 

«Bu!», urla lei ridendo sguaiata. 

«Lo sapevo che eri qui. Ti ho sentito!»

Lei non mi risponde. 

«Perché non sei corsa a dire tana?»

Tina non risponde ma ride, sembra quasi una iena. 

«Guarda un po’», dice. «Ti devo far vedere una cosa.»

Sta fissando qualcosa in basso dietro di me. Mi giro. Per terra c’è un grande cesto nero. Guardo di nuovo Tina e lei ha un sorriso beffardo. Sicuramente mi vuole spaventare perché c’è davvero un topo morto lì dentro e lei sa che mi fa schifo toccare quegli animaletti lì, come quando vuole che tolga la coda alle lucertole o metta i vermi nei barattoli ma io mi rifiuto sempre.

«Che c’è lì dentro?»

«Boh, guarda…»

Mi viene da piangere. Quando Tina mi tratta così vorrei solo correre a casa e non tornare più. 

«Dai Tina… c’è un topo vero?»

Tina ride forte. 

«No, non c’è un topo.»

La guardo malfidata. 

«Giuro! Non c’è un topo. Ti faccio vedere.»

Tina mi passa accanto e si china sul cesto. Non mi giro.

«Guarda!»

Sbuffo girando la testa e vedo che il cesto è così pieno zeppo di videocassette nere che un topo nemmeno ci entrerebbe. 

Anche mio papà ha un mobile pieno di videocassette. Da quando ero piccolissima lui infatti riprende tutto con la sua telecamera e in tantissime videocassette ci sono io al mio compleanno, o nella vasca che gioco, o al mare, e anche uno in cui canto con indosso un abito di mamma e i tacchi mentre mamma mi guarda e ride e fa finta di essere una fan. Mi piace tanto quando con mamma e papà la sera guardiamo i video e loro mi raccontano dove eravamo perché mi ricordo poco di quando ero più piccola. Solo che papà le sue cassette le tiene tutte in ordine catalogate con anno e posto in cui eravamo. Queste invece sono tutte messe in disordine.

«Sono di quando eri piccola?»

«No.»

«E allora che sono?»

«Sono film.» 

Non avevo pensato ai film. Papà mi compra sempre i film originali della Disney. I miei preferiti sono Mary Poppins e La spada nella roccia. Ma papà dice anche che tanta gente con pochi soldi copia  i film del VideoVip e questi si chiamano pirati. 

«Sono cartoni?»

«No…»

«Di paura?»

«No, fifona. Ne guardiamo uno?»

Le rispondo di sì perché guardare un film è sempre meglio che giocare a nascondino. L’importante è che non sia uno di paura come It che una sera ho provato a guardarne un pezzettino perché tutti in classe lo guardavano e anche Tina ma non ho dormito tutta la notte.

Tina prende una cassetta e corre di là. La seguo. Mentre lei accende il videoregistratore e infila la cassetta io mi siedo per terra accanto a lei di fronte alla televisione. 

Tina mette indietro la videocassetta poi preme il tasto play e si mette a sedere accanto a me. La guardo sorridendo ma lei non mi guarda.

Ma è un film di quelli western! Che barba. Mio nonno li guarda sempre, lui ha anche tantissimissimi fumetti di Tex Willer che legge solo quando va a fare la cacca. Però a me annoiano tantissimo, eccetto quelli di Bud Spencer e Terence Hill. Anche qui ci sono i soliti due uomini che stanno arrivando a cavallo da lontano in questo paesino in America, ma quando arrivano vedo che non sono Spencer e Hill. Vorrei tanto dire ad Tina di mandare avanti o di cambiare film ma lei è tutta seria e concentrata.

«Vedrai che poi ti piace», dice senza togliere lo sguardo dai cowboys. 

Stanno cercando una banca e parlano di una rapina. Poi legano i cavalli ed entrano in banca estraendo le pistole. Dentro a sedere c’è una guardia che però è una femmina. Questi due le mettono la pistola alla testa e la spingono in una stanza. Qui Tina fa una risatina e rido anche io anche se spero che non le facciano male. 

Le fanno tirare su le braccia e poi… poi le dicono di tirarsi giù i pantaloni. E anche le mutande. Poi uno dei due si avvicina e le mette una mano lì sotto e poi la bacia con tutta la lingua di fuori come se fosse un cane. Lei non sembra contenta. 

Neanche io sono contenta. Sono un po’ imbarazzata anche perché a casa mia papà gira sempre canale quando ci sono scene di baci perché dice che sono cose private. Poi arriva l’altro e la sbattono sul tavolo messa come mi metto io quando nonna mi deve mettere le supposte. 

I cowboys si guardano e ridono e poi si tirano giù tutti e due i pantaloni e tirano fuori due piselli enormi tutti gonfi che secondo me sono finti. Anche io l’ho visto un pisello una volta del mio cuginetto quando era piccolo e zia mi faceva vedere come togliergli il pannolino. Però sembrano proprio veri e tutti attaccati al corpo. 

Vorrei chiedere a Tina se sono veri ma so già che dopo mi prende in giro perché dice che non so nulla della vita tranne studiare.

Poi uno dei due si avvicina alla donna e le infila tutto quel pisello dietro e la telecamera lo fa proprio vedere da vicino. Lei inizia ad urlare, ma non è un urlo triste. Mi viene da mettermi una mano sugli occhi ma poi sento una sensazione strana lì sotto. Un brivido. Una strizza. La donna continua a fare dei versi strani, fortissimi che però sembrano familiari. Sono simili a quelli che fa mamma la notte a letto quando dice che ha l’emicrania. E se invece mamma non aveva l’emicrania? E se invece queste cose le fanno anche papà e mamma? Il brivido ora è andato via e ho appena scosso la testa senza sapere perché.

Continuo a guardare senza pensare a niente.  

Tina ad un certo punto si alza e spegne la televisione. 

«Hai capito perché è puttana?», esclama.

La fisso mentre va verso il divano, prende una sigaretta dal pacchetto di sua mamma e se l’accende.

Non voglio più stare qui. Guardo l’orologio. Sono le cinque e dieci. 

«Io devo andare… nonna sarà fuori che aspetta.»

Tina non risponde. 

«Stasera fa il polpo con le patate lesse.»

«Mh mh», borbotta lei. 

«Ci vediamo domani?», le chiedo mentre mi alzo ma penso che domani non la voglio vedere. Sono già in cucina e penso che nemmeno mi ricordo se mi abbia risposto o no. 

Attraverso l’ingresso guardando dritto davanti a me. Mi chiudo dietro la porta e inizio a camminare veloce. Corro.  

Quando entro in casa mi manca il respiro. Nonna sta stirando le lenzuola mentre guarda la televisione. 

«Che è successo», mi chiede spaventata. 

«Niente, nonna. Mi sono ricordata che dovevo finire il compito.»

AUTRICE

Nella mia vita ho sempre sentito il bisogno di scrivere. Un richiamo a lasciare un’impronta, come una specie d’istinto materno verso le mie parole, che, anche se semplici o banali, erano mie e soltanto mie. Io scrivo per lettori che quando sono tristi leggono e quando sono felici escono. Perché io sono così, un po’ come Luigi Tenco, che quando sono triste scrivo e quando sono felice esco. E quando esco e sono felice noto anche cose tristi, cose che mi fanno arrabbiare, e allora torno triste e nella scrittura trovo un modo di esorcizzarle e decorarle, rendendole, se posso, permettermi di chiamarle così, una piccola forma d’arte.

SOSTIENI ĀTMAN JOURNAL

Sostenere Ātman Journal vuol dire entrare a far parte di una comunità che crede, come noi, che internet possa mantenere le sue promesse originali: promuovere nella società il dibattito creativo, libero e indipendente e democratizzare la cultura. Di fronte alla prepotenza dei giganti digitali, la sua stessa presenza è un gesto di resistenza e di sfida.

IBAN
IT54 U030 6909 6061 0000 0400 546

PAYPAL

This Pop-up Is Included in the Theme
Best Choice for Creatives
Purchase Now