
GIULIO REGENI: QUANDO L’ECONOMIA SOVRASTA I DIRITTI UMANI
Storicamente Italia ed Egitto hanno sempre avuto delle relazioni significative, sin dagli anni 50-60, dall’epoca di Gamal Abdel Nasser, il secondo presidente della repubblica egiziana. Negli ultimi anni l’Italia è diventata il secondo partner commerciale e politico dell’Egitto in Europa, e il quarto al mondo dopo Stati Uniti, Cina e Germania. La collaborazione commerciale tra i due paesi ha riguardato una vasta gamma di settori, ma quello energetico è stato di gran lunga il più importante. Lo stato italiano si trova in una posizione di assoluta dipendenza energetica dall’Egitto, che gode invece di una grande ricchezza di idrocarburi. Il giacimento di gas naturale Zohr rappresenta oggi il più grande bacino di gas nel Mediterraneo e uno dei più grandi al mondo. C’è poi un altro grande settore in cui Italia ed Egitto fanno affari miliardari. Si tratta della fornitura di armi. Nel 2019 l’Italia è diventato il primo paese per esportazione di armi in Egitto. Nel 2020, le esportazioni sono addirittura aumentate passando dai 900 milioni di euro dell’anno precedente a 1,2 miliardi di euro. Sembrerebbe tutto nella norma, se non fosse che l’Egitto, come si dirà più avanti, è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. E nei suoi confronti vige in tutta l’UE una sospensione dei trasferimenti di armi a partire dal 2013, in risposta alla drammatica strage di Rabaa, perpetrata dal governo militare egiziano – giunto al potere il 3 luglio 2013 dopo un colpo di Stato guidato dall’attuale Presidente egiziano Al-Sisi – contro i manifestanti presenti nella piazza di Rabaa a Il Cairo. Non stiamo quindi rispettando il diritto europeo. Ma non solo. Perché anche a livello di diritto interno, la legge n.185 del 1990, che regola l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali di armamento, vieta la vendita di armi a paesi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.
Che poi, sulla carta, la situazione dei diritti umani in Egitto non sarebbe messa poi così male. Nella nuova Costituzione egiziana, emanata nel 2014, troviamo il diritto alla dignità umana (art 51), libertà personale (54), uguaglianza nei diritti e nei doveri (53), giusto processo (55), e poi anche il divieto di tortura. L’art 52 dichiara infatti che “tutte le forme di tortura sono un crimine senza limitazioni”. Ma non solo, perché rispettivamente agli articoli 59 e 60 troviamo il diritto alla sicurezza e l’inviolabilità del corpo umano.L’Egitto è inoltre parte di numerosi trattati internazionali, tra cui il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.Se questa sembra essere una situazione idilliaca, dobbiamo però fare i conti con una realtà profondamente diversa. I gruppi per i diritti umani hanno stimato che ci sono circa 60.000 prigionieri politici in Egitto. Reporter senza frontiere, organizzazione non governativa e no-profit che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa, ha classificato l’Egitto al 166 ° posto nel suo annuale Indice della libertà di stampa. Secondo quanto riportato nel rapporto di Amnesty International “Finirà solo quando morirai”, pubblicato il 16 settembre 2021, l’operato della National Security Agency (NSA) egiziana ha portato alla costituzione di un “sistema di terrore” che cerca di ridurre al silenzio tutti coloro che si occupano di difendere i diritti umani. Le autorità egiziane abusano dei propri poteri, negando i diritti umani e le libertà fondamentali in un clima di impunità pressoché totale. Secondo il rapporto “Torture in Egypt systemic and systematic”, pubblicato da DIGNITY, associazione danese che dal 1982 si impegna e combatte la tortura nel mondo, l’utilizzo della tortura in Egitto non solo costituisce una pratica sistematica ma è una pratica che viene resa possibile e addirittura incentivata da membri delle istituzioni, colpevoli, secondo tale rapporto, di aver reso la tortura come lo strumento maggiormente utilizzato per la repressione criminale.La situazione quindi, come appare evidente, è drammatica. I diritti umani esistono, ma solo sulla carta.
Entriamo adesso nel vivo del caso Regeni, una vicenda estremamente triste e drammatica sotto tutti i punti di vista. L’omicidio di Giulio Regeni è avvenuto in Egitto tra gennaio e febbraio 2016.Giulio era un dottorando italiano dell’Università di Cambridge. Nato a Trieste il 15 gennaio 1988. Quando è stato rapito si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana del Cairo. É stato ritrovato senza vita il 3 Febbraio 2016, nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. Sul suo corpo vi erano evidenti segni di tortura, contusioni e abrasioni su tutto il corpo, lividi estesi derivanti probabilmente da calci, pugni. Addirittura alcune lettere dell’alfabeto incise con oggetti affilati sulla sua pelle. Più di 12 fratture, coltellate multiple e tagli su tutto il corpo. Un’atrocità. L’autopsia poi ha evidenziato un’emorragia cerebrale e una vertebra cervicale fratturata a seguito di un violento colpo al collo, verosimilmente la causa della morte.Subito dopo il ritrovamento del corpo, le autorità egiziane hanno cercato di trovare una soluzione semplice e veloce al caso, dichiarando che l’omicidio poteva essere avvenuto per motivi personali dovuti a una presunta relazione omosessuale oppure allo spaccio di stupefacenti. Peccato che Giulio avesse una ragazza e non avesse mai fatto uso di droghe, come dimostrato dall’autopsia. La collaborazione offerta dallo stato egiziano alle autorità italiane è stata fin da subito insufficiente. Gli investigatori italiani hanno potuto interrogare pochi testimoni per alcuni minuti, dopo che gli stessi erano già stati interrogati per ore dalla polizia egiziana; le riprese video della stazione della metropolitana dove Regeni era stato visto per l’ultima volta furono cancellate; furono negati i tabulati telefonici del quartiere dove Giulio viveva e della zona in cui fu ritrovato il corpo. Le autorità egiziane hanno cercato in ogni mondo di rendere impossibile la ricerca della verità. Ma chi si comporta così? Forse chi ha qualcosa da nascondere? Le indagini della procura di Roma sono andate avanti per anni, nonostante le enormi difficoltà dovute alla totale mancanza di collaborazione fornita dalle autorità egiziane, nonché i vari tentativi di insabbiamento del caso. Nonostante ciò i magistrati italiani sono riusciti ad individuare i 4 membri (generale Tariq Sabir, colonnello Athar Kamel, colonnello Usham Helmi, maggiore Magdi Sharif) dei servizi segreti egiziani presunti responsabili del sequestro di Giulio, delle lesioni personali gravissime e dell’omicidio, i quali sono stati rinviati a giudizio il 25 maggio 2021.La Terza sezione della Corte d’Assise di Roma, il 14 ottobre 2021 ha però dichiarato nullo il decreto di rinvio a giudizio dei quattro agenti egiziani. E questo come è possibile?
Secondo la corte d’Assise il decreto che disponeva il giudizio “era stato notificato agli imputati comunque non presenti all’udienza preliminare (…) sul presupposto che si fossero sottratti volontariamente alla conoscenza di atti del procedimento”. Ma tale presupposto è stato ritenuto inesistente dalla Corte di Assise. Che cosa vuol dire? Che, secondo i giudici di Roma, non è provato che gli imputati abbiano deciso volontariamente di essere contumaci. La questione è normata dall’articolo 420 bis del codice di procedura penale italiano, che ha introdotto e regola il processo in assenza dell’imputato: “Se l’imputato, libero o detenuto, non è presente all’udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza” anche qualora “ (…) risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo”. Ecco, secondo la corte d’Assise di Roma non c’è la prova certa che i quattro imputati sapessero dell’udienza e dunque che avessero espressamente rinunciato ad essere presenti. Ecco perché i giudici hanno annullato il decreto di rinvio a giudizio.Il processo adesso rischia di arenarsi definitivamente. I giudici della Cassazione hanno, infatti, dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Roma contro la decisione del gup che l’11 Aprile ha disposto, così come già fatto dalla Corte d’Assise nell’Ottobre scorso, la sospensione del procedimento disponendo nuove ricerche degli imputati a cui notificare gli atti.Fino a che gli 007 egiziani non si renderanno reperibili non sarà possibile avviare il processo. Responsabile di questa situazione è sicuramente lo stato egiziano, che non ha mai fornito gli indirizzi di residenza dei quattro agenti e la magistratura egiziana che non ha mai concesso ai magistrati italiani di essere presenti agli interrogatori degli indagati stessi.
Secondo il pm Sergio Colaiocco, che rappresentava l’accusa nel processo penale in Corte d’Assise, la pubblicità, mediatica e non solo, data all’inchiesta e al procedimento penale era tale da renderlo “fatto notorio“. In altri termini i quattro non potevano non sapere che davanti ad un tribunale italiano iniziava il processo a loro carico. In un procedimento di dolore infinito, di imbarazzo, di rabbia e di falsità, dobbiamo condannare il comportamento dello stato egiziano, ma non possiamo non fare lo stesso con quello dello stato italiano e dell’intera Unione Europea. Perché quanto fatto fino a questo momento non è sufficiente. Serve di più. I genitori di Giulio hanno parlato del ‘fuoco amico’ italiano, dichiarando che “fa tanto male quanto quello egiziano”, e che “ormai si tratta di dover combattere contro lo stato italiano, non più solo contro quello egiziano, per ottenere verità e giustizia”. Tanto che il 31 gennaio 2020, riconoscendo la corresponsabilità e collusione tra governo italiano e egiziano, i genitori di Giulio Regeni hanno annunciato di aver presentato un esposto contro il governo italiano proprio per la violazione della Legge 185/90. Bisogna sottolineare che gli strumenti per fare pressione sull’Egitto, l’Europa tutta – e l’Italia in particolare – li ha. Innanzitutto si dovrebbero convocare gli ambasciatori egiziani nei rispettivi Paesi dell’Unione per segnalare l’importanza dei diritti umani nonché richiamare o ritirare gli ambasciatori europei al Cairo – una proposta che peraltro la famiglia Regeni suggerisce da mesi al governo, senza apparente risposta.Si potrebbero utilizzare strumenti concreti già presenti negli accordi euro-egiziani per penalizzare il regime egiziano per gli abusi commessi – strumenti che esistono da almeno 15 anni. L’Egitto potrebbe incorrere nella responsabilità internazionale indiretta per violazione del divieto di tortura, che rappresenta una norma fondamentale e inviolabile per la comunità internazionale, sancita dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti inumani e degradanti del 1984. Tale trattato prevede infatti obblighi positivi e negativi per gli stati firmatari, tra cui proprio quello di prendere provvedimenti per reprimere la tortura mediante “un’inchiesta tempestiva e imparziale” e l’obbligo di cooperare con gli stati coinvolti. (Articoli 9 e 12) E qualora fosse dimostrata la responsabilità nell’omicidio Regeni degli organi interni dello stato, quali i servizi segreti, l’Egitto potrebbe incorrere nella responsabilità internazionale diretta, in quanto lo stato risponde sempre e direttamente delle azioni dei propri organi.Si potrebbe quindi instaurare una controversia internazionale con l’Egitto, attivare una procedura arbitrale o infine agire davanti alla corte internazionale di giustizia.
Eppure non è accaduto niente di tutto ciò.Il 16 dicembre 2020 il Parlamento europeo si è limitato ad approvare una risoluzione, atto non vincolante e privo di forza giuridica, in cui esorta le autorità egiziane a fornire gli indirizzi di residenza degli agenti dei servizi segreti accusati dell’omicidio, nei confronti dei quali le prove a disposizione dei magistrati italiani sarebbero «inequivocabili», affinché possa essere celebrato un giusto processo, e in cui denuncia la «repressione» del regime egiziano, le sparizioni forzate, le torture, le «confessioni forzate» e le detenzioni che rientrerebbero in una strategia di «intimidazione delle organizzazioni che difendono i diritti umani». Paradossalmente, quasi negli stessi giorni, abbiamo assistito al conferimento, da parte del presidente francese Macron, della Legion d’Onore (la più alta onorificenza francese) al presidente egiziano Al-Sisi.
È questo il mondo in cui viviamo. Invece che denunciare, combattere, interrompere le relazioni con chi viola i diritti umani e si rende responsabile di stragi e uccisioni, lo si premia. È un mondo che funziona al contrario. Più male fai, più bene ricevi. O meglio, siamo più precisi. Se sei lo stato con la più grande disponibilità di gas in Europa puoi anche uccidere e torturare cittadini europei, perché nessuno ti dirà niente. Anzi, ti faranno anche cavaliere!Il giornalista e scrittore italiano Corrado Augias, dopo aver assistito a ciò ha annunciato la restituzione delle insegne della Legion d’onore a suo tempo conferitegli, dichiarando che “il presidente Macron non avrebbe dovuto concedere la Legion d’onore ad un capo di Stato che si è reso oggettivamente complice di efferati crimini”. Il 24 febbraio 2016 Amnesty International Italia ha lanciato la campagna Verità per Giulio Regeni ed è stata lanciata anche una petizione online sul portale Change.org a cui hanno aderito più di 150 000 sostenitori.Il governo italiano invece si nasconde dietro a semplici richieste di rogatoria, alle quali l’Egitto si limita a non rispondere o rispondere parzialmente, prendendosi gioco della Farnesina (ne sono state mandate 64 per il processo ai 4 agenti egiziani. 38 senza risposta). Oppure dichiarazioni, appelli. Da ultimo il gesto di costituirsi parte civile nel processo penale celebrato a Roma. Troppo poco. Soprattutto se pensiamo che chi si siede a fianco dei genitori di Giulio, in quelle fredde aule di tribunale, rappresenta lo stesso governo che conclude affari miliardari con l’Egitto, che gli fornisce armi. Quelle stesse armi con cui vengono commessi crimini. Con cui vengono violati patti e convenzioni internazionali. Quella che stiamo vivendo è una fase storica in cui il denaro è come una droga sintetica che assuefà i governi nazionali, in cui l’economia è considerata più importante dei diritti umani, in cui è legittimo fare affari con chi tortura e uccide cittadini del proprio stato. Basta coprirsi gli occhi, fingere di non vedere le atrocità, le torture, le sparizioni forzate, gli arresti politici, le uccisioni. Tutto è al servizio del Dio Denaro.
Non resta che chiedersi: “È davvero questo il mondo in cui vogliamo vivere?”